Un articolo di Francesco Manacorda da La Stampa:
http://www.lastampa.it/2015/03/05/societa/expo2015/le-vie-del-cibo/da-ovest-verso-oriente-il-grande-viaggio-dei-cibi-nel-mondo-YBYEnVYVb0NbTLISCHVmSJ/pagina.html
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foto Alex Majoli- Magnum Photos
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La lista della spesa dell’ultimo anno è imponente, anche se non eccezionale rispetto a quelle del recente passato: comprende tra l’altro 310 milioni di tonnellate di carne varia, che per dare un’idea potrebbero trasformarsi in 3100 miliardi di hamburger da 100 grammi l’uno; poco meno di 800 milioni di tonnellate di latte, ossia circa 800 miliardi di confezioni da un litro proprio come quella che abbiamo tirato fuori stamattina dal frigorifero; e poi 500 milioni di tonnellate di riso, poco meno di 500 milioni di tonnellate di grano, 165 milioni di tonnellate di pesce, quasi 300 milioni di tonnellate dell’esotica - almeno per noi - cassava...
Se tutti gli abitanti del mondo andassero a rifornirsi di cibo una sola volta l’anno, o se - proviamo a correre con l’immaginazione - Madre Terra entrasse in un assai ipotetico supermercato per mettere in dispensa quanto le serve per nutrire i suoi figli nei successivi dodici mesi, le quantità che avrebbe segnato sul foglietto attaccato a un immenso carrello sarebbero molto simili a quelle appena elencate. Quantità enormi, per l’appunto - le misura in dettaglio l’ultimo «Food Outlook» della Fao - che non significano evidentemente la garanzia di un’alimentazione sufficiente ed equilibrata per l’intera popolazione mondiale.
I consumi nel mondo
La media del pollo di Trilussa, quella tanto citata per la quale se tu hai mangiato un pollo e io nulla abbiamo mangiato mezzo pollo a testa, diventa ancora più realistica su scala globale. Se ad esempio nel mondo il consumo di carne varia è stato lo scorso anno di circa 43 chili a testa, basta dividere lo stesso mondo in due aree per avere risultati completamente diversi: 75,5 chili pro-capite consumati nei Paesi sviluppati, 33,8 chili in quelli in via di sviluppo. Al contrario, mentre il consumo pro-capite della cassava o manioca - il tubero che per molte popolazioni tropicali e subtropicali è la principale fonte di carboidrati - è di 21,6 chili l’anno, a livello mondiale, nella sola Africa subsahariana la media sfiora i 139 chili l’anno. Non a caso l’Expo 2015 parte anche dalla constatazione che nel biennio 2010-2012 sono circa 870 milioni le persone denutrite, mentre specie in Europa e in Nord America l’obesità sta diventando uno dei maggiori problemi di salute pubblica.
Disegnare le vie del cibo che si intrecciano sul pianeta è un compito arduo. Più che ad autostrade intercontinentali, le rotte degli alimenti che approdano sulle tavole del mondo, somigliano a un fitto reticolo di vie e stradine: spesso a senso unico, ma talvolta anche con doppia direzione di marcia. La Germania, ad esempio, è il primo esportatore mondiale di latte e derivati, ma anche il secondo importatore nello stesso settore. In Asia, la Cina è un importatore netto di riso, ma i tre maggiori esportatori del mondo - India, Thailandia e Vietnam - stanno nelle vicinanze.
Da Ovest verso Est
Se una tendenza globale si può identificare, però, è quella che il vento delle esportazioni di alimenti nel mondo soffia prevalentemente da Ovest verso Est. Da una parte le immense praterie e le coltivazioni del Nord America e dell’America Latina, con una demografia abbastanza stabile e una crescita economica - quando si guarda a Sud del continente - debole o moderata, che non spinge quindi i consumi interni. Dall’altra parte dell’emisfero, pronta ad accogliere prelibatezze fino a ieri sconosciute o alimenti tradizionali che non si producono in quantità sufficiente per un continente che cresce impetuoso, ci sono l’Asia e il Medio Oriente.
Solo dieci anni fa la Cina era un esportatore netto di cibo, adesso - con una classe media in rapidissima espansione e nonostante un rallentamento dell’economia - si è trasformata in importatore netto. Così Stati Uniti e Canada, ad esempio, sono rispettivamente il primo e il terzo esportatore di grano al mondo, mentre Egitto, Giappone e Indonesia rappresentano i tre maggiori importatori. È una tendenza, quella del viaggio del cibo da Ovest verso Est, che vede le sue eccezioni. Il primo esportatore di carne bovina al mondo è per l’appunto il Brasile, ma subito dopo ci sono l’India - con il suo bufalo - e l’Australia.
Fuori dal radar, in molti sensi l’Africa, che oggi importa quasi il 90% del cibo che consuma e dove si concentrano i casi di denutrizione o malnutrizione. Dei 55 Paesi che la Fao inserisce nella categoria «Lifdc», ossia quelli a basso reddito e con un deficit alimentare, ben 37 - dal Benin allo Zimbabwe - sono in Africa. In Europa non ce n’è nessuno, nel continente americano solo tre.
Prezzi in discesa
L’altra grande tendenza che si può identificare nei flussi commerciali del cibo è quella di un ribasso dei prezzi che dura da quattro anni dopo una fase di forti rialzi. Nel 2007-2008, infatti si registrò una grande cavalcata dei prezzi alimentari, che si intrecciò con i primi effetti della crisi finanziaria. A essere colpiti dai rialzi di grano, farina, riso e semi di soia, all’epoca, non furono però le capitali della Borsa, ma i Paesi più poveri del globo, da Haiti al Senegal, dove scoppiarono le prime rivolte per il cibo. Poi un’altra ondata di rialzi nel 2010-2011, dovuta principalmente al raccolto di grano andato male tra Russia, Ucraina e Kazakistan. La decisione della Russia di chiudere le esportazioni di grano scatenò il panico sui mercati, mandò alle stelle le quotazioni e contribuì all’esplosione delle Primavere arabe con le proteste per il pane.
Quei rialzi di prezzi hanno anche cambiato la geografia della produzione: Paesi forti economicamente, ma deficitari come produzione di cibo - in primo luogo gli Emirati del Golfo - scottati dall’esperienza, hanno avviato grandi acquisti di terre da coltivare in Africa. Evidenti i problemi sia per i contadini locali, sia per lo sfruttamento delle risorse. Nel 2014 invece, ha segnalato la Fao, il suo indice dei prezzi alimentari globali, è sceso per il quarto anno di fila, con un calo del 3,7% rispetto al 2013. Colpa, o merito - dipende se lo si guarda con gli occhi del produttore o con quelli del consumatore - di una serie di fattori: c’è lo sviluppo tecnologico, certamente, ma nell’ultimo anno l’influsso forte è venuto anche da condizioni climatiche che hanno consentito raccolti record. Nei silos degli Stati Uniti, dopo il maggior raccolto nella storia dell’onnipresente mais - viene usato per l’alimentazione umana ed animale, ma anche per produrre l’etanolo - ci sono adesso 258 milioni di tonnellate di riserve, il 7% in più di un anno prima; difficile che a breve il prezzo possa salire più di tanto. E poi, ovviamente, pesa anche il ciclo economico generale: se la Cina rallenta la sua crescita questo finisce immediatamente per ripercuotersi sui prezzi agricoli. Tra offerta sovrabbondante e domanda un po’ più debole del previsto nell’ultimo anno il prezzo del caffè, qualità Arabica, è sceso di oltre il 30%, quello del mais di più del 20%, così come quello del grano. Anche lo zucchero raffinato ha perso il 22% del suo prezzo mentre tra i pochi generi alimentari i cui prezzi salgono c’è la carne bovina, che costa circa il 7% in più di un anno fa: le nuove classi medie globalizzate di tutto il mondo affermano il loro status appena conquistato anche mettendo nel piatto una bistecca.
Il futuro del cibo
Basterà il sistema mondiale di produzione del cibo a sfamare il Pianeta quando tra pochi decenni - addirittura già a metà secolo - si prevede che la popolazione mondiale possa arrivare dai 7 miliardi attuali fino a 10 miliardi? I numeri e le proiezioni degli esperti dicono di sì. Ma sono solo numeri, per l’appunto. La tendenza del mercato è a una concentrazione delle esportazioni nelle mani di quelli che sono già i principali esportatori. Il riscaldamento globale impedirà alcune coltivazioni in zone che diventeranno troppo aride, ma potrebbe renderle possibili in zone che prima erano troppo fredde. Molto dipenderà anche da comportamenti difficilmente prevedibili: come si svilupperanno i movimenti verso le aree urbane e che effetti avranno sulle campagne? Quanto correrà la globalizzazione economica che si porta sempre dietro quella alimentare?
Certo è che mentre i flussi commerciali si intensificano i problemi di distribuzione si moltiplicano. Distribuzione del cibo, prima di tutto, per tirare fuori larghe parti del mondo dalla sottoalimentazione; ma anche distribuzione del reddito, con la necessità che i piccoli agricoltori possano vendere i loro prodotti senza essere schiacciati dalle multinazionali. E distribuzione anche dell’offerta e della domanda: in quell’Africa che soffre la fame per moltissimi piccoli agricoltori l’accesso a un mercato più ampio di quello strettamente locale - se e quando avviene - è solo un caso.