martedì 28 aprile 2015

EXPO, TEMATICHE: Food 2.0

L'articolo di Gabriele Beccaria su La Stampa:
http://www.lastampa.it/2015/03/26/societa/expo2015/le-frontiere-del-cibo/i-nuovi-esploratori-del-cibo-scommettono-sul-potere-degli-alimenti-ricostruiti-IRdPd3MUGtNpUIMfxa1H5H/pagina.html

foto Eliott Erwitt- Magnum Photo
Una nuova avventura scientifica è iniziata. È la corsa per trovare cibo per tutti, mentre si fa strada una certezza: il menu in tavola sarà sempre più diverso da quello a cui siamo abituati. Il mito del cibo biologico e l’anti-mito del cibo-spazzatura sono destinati ad annullarsi. Le soluzioni stanno altrove. E sono complicate, spesso controverse, in molti casi ancora sperimentali. Nutrirci rappresenterà una sfida non meno immensa di quella per mitigare i cambiamenti climatici o gestire la società degli algoritmi e dei robot. 
Al vertice delle promesse e delle polemiche stanno i cibi Ogm, protagonisti di una battaglia che dura da un trentennio. Dal pomodoro super-saporito al riso con la vitamina B anti-cecità fino alla cassava resistente ai batteri, c’è un vasto menu già pronto, sia per i ricchi sia per i poveri del Pianeta. Ma resta nei frigoriferi dei laboratori.Dall’Europa all’Asia milioni di potenziali consumatori temono i cibi con il Dna modificato e li rifiutano. Tanto che gli Ogm sono stati retrocessi alla base della catena alimentare. Nutrono gli animali che diventano salsicce e bistecche. Tutti lo sanno, ma fanno finta di nulla. 
A infrangere pregiudizi e smontare paure non sono bastati gli appelli degli scienziati: senza gli Ogm - sostengono - la nostra sopravvivenza di specie potrebbe essere a rischio. E paragonano le piante e i cibi geneticamente modificati alla Rivoluzione Verde degli Anni 60.
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In effetti spesso si dimentica che il viaggio attraverso bocca e stomaco passa per il cervello. Vogliamo cibi migliori, ma coltiviamo passioni nostalgiche per i sapori perduti di nonni e bisnonni. E così i giganti dell’alimentazione e le start-up del cibo immaginano una serie di futuri possibili. 
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Addio brusche manipolazioni genetiche, quindi. Entra in scena la «decostruzione nutritiva». Succede nella Silicon Valley, dove nascono società come Impossibile Food, che lavora alla carne senza le mucche, e altre come Hampton Creek, che progetta la maionese «green» priva di uova, mentre Soylent si spinge al progetto estremo del beverone totale: pochi sorsi e si fa il pieno di calorie «pulite», senza rischi di colesterolo o intossicazioni. 
Lo chiamano «food 2.0» ed è immaginato per chi considera primordiale il rito quotidiano del mettersi a tavola. Ma non solo. I cibi decostruiti e ricostruiti potrebbero semplificare gli ipertrofici - e inquinanti - processi produttivi standard. Aumentando la produttività e diminuendo l’impatto sul Pianeta. Il tempo stringe e l’Onu lancia allarmi ripetuti. Il cibo potrebbe diventare la massima emergenza dell’umanità. E i programmi alla Masterchef trasformarsi in grottesche rappresentazioni di un mondo irrimediabilmente scomparso. 


domenica 26 aprile 2015

EXPO, TEMATICHE: Da Ovest verso Oriente, il  grande viaggio dei cibi nel mondo

Un articolo di Francesco Manacorda da La Stampa:
http://www.lastampa.it/2015/03/05/societa/expo2015/le-vie-del-cibo/da-ovest-verso-oriente-il-grande-viaggio-dei-cibi-nel-mondo-YBYEnVYVb0NbTLISCHVmSJ/pagina.html

foto Alex Majoli- Magnum Photos
La lista della spesa dell’ultimo anno è imponente, anche se non eccezionale rispetto a quelle del recente passato: comprende tra l’altro 310 milioni di tonnellate di carne varia, che per dare un’idea potrebbero trasformarsi in 3100 miliardi di hamburger da 100 grammi l’uno; poco meno di 800 milioni di tonnellate di latte, ossia circa 800 miliardi di confezioni da un litro proprio come quella che abbiamo tirato fuori stamattina dal frigorifero; e poi 500 milioni di tonnellate di riso, poco meno di 500 milioni di tonnellate di grano, 165 milioni di tonnellate di pesce, quasi 300 milioni di tonnellate dell’esotica - almeno per noi - cassava...  
Se tutti gli abitanti del mondo andassero a rifornirsi di cibo una sola volta l’anno, o se - proviamo a correre con l’immaginazione - Madre Terra entrasse in un assai ipotetico supermercato per mettere in dispensa quanto le serve per nutrire i suoi figli nei successivi dodici mesi, le quantità che avrebbe segnato sul foglietto attaccato a un immenso carrello sarebbero molto simili a quelle appena elencate. Quantità enormi, per l’appunto - le misura in dettaglio l’ultimo «Food Outlook» della Fao - che non significano evidentemente la garanzia di un’alimentazione sufficiente ed equilibrata per l’intera popolazione mondiale.  
I consumi nel mondo  
La media del pollo di Trilussa, quella tanto citata per la quale se tu hai mangiato un pollo e io nulla abbiamo mangiato mezzo pollo a testa, diventa ancora più realistica su scala globale. Se ad esempio nel mondo il consumo di carne varia è stato lo scorso anno di circa 43 chili a testa, basta dividere lo stesso mondo in due aree per avere risultati completamente diversi: 75,5 chili pro-capite consumati nei Paesi sviluppati, 33,8 chili in quelli in via di sviluppo. Al contrario, mentre il consumo pro-capite della cassava o manioca - il tubero che per molte popolazioni tropicali e subtropicali è la principale fonte di carboidrati - è di 21,6 chili l’anno, a livello mondiale, nella sola Africa subsahariana la media sfiora i 139 chili l’anno. Non a caso l’Expo 2015 parte anche dalla constatazione che nel biennio 2010-2012 sono circa 870 milioni le persone denutrite, mentre specie in Europa e in Nord America l’obesità sta diventando uno dei maggiori problemi di salute pubblica.  
Disegnare le vie del cibo che si intrecciano sul pianeta è un compito arduo. Più che ad autostrade intercontinentali, le rotte degli alimenti che approdano sulle tavole del mondo, somigliano a un fitto reticolo di vie e stradine: spesso a senso unico, ma talvolta anche con doppia direzione di marcia. La Germania, ad esempio, è il primo esportatore mondiale di latte e derivati, ma anche il secondo importatore nello stesso settore. In Asia, la Cina è un importatore netto di riso, ma i tre maggiori esportatori del mondo - India, Thailandia e Vietnam - stanno nelle vicinanze.  
Da Ovest verso Est  
Se una tendenza globale si può identificare, però, è quella che il vento delle esportazioni di alimenti nel mondo soffia prevalentemente da Ovest verso Est. Da una parte le immense praterie e le coltivazioni del Nord America e dell’America Latina, con una demografia abbastanza stabile e una crescita economica - quando si guarda a Sud del continente - debole o moderata, che non spinge quindi i consumi interni. Dall’altra parte dell’emisfero, pronta ad accogliere prelibatezze fino a ieri sconosciute o alimenti tradizionali che non si producono in quantità sufficiente per un continente che cresce impetuoso, ci sono l’Asia e il Medio Oriente.  
Solo dieci anni fa la Cina era un esportatore netto di cibo, adesso - con una classe media in rapidissima espansione e nonostante un rallentamento dell’economia - si è trasformata in importatore netto. Così Stati Uniti e Canada, ad esempio, sono rispettivamente il primo e il terzo esportatore di grano al mondo, mentre Egitto, Giappone e Indonesia rappresentano i tre maggiori importatori. È una tendenza, quella del viaggio del cibo da Ovest verso Est, che vede le sue eccezioni. Il primo esportatore di carne bovina al mondo è per l’appunto il Brasile, ma subito dopo ci sono l’India - con il suo bufalo - e l’Australia.  
Fuori dal radar, in molti sensi l’Africa, che oggi importa quasi il 90% del cibo che consuma e dove si concentrano i casi di denutrizione o malnutrizione. Dei 55 Paesi che la Fao inserisce nella categoria «Lifdc», ossia quelli a basso reddito e con un deficit alimentare, ben 37 - dal Benin allo Zimbabwe - sono in Africa. In Europa non ce n’è nessuno, nel continente americano solo tre.  
Prezzi in discesa  
L’altra grande tendenza che si può identificare nei flussi commerciali del cibo è quella di un ribasso dei prezzi che dura da quattro anni dopo una fase di forti rialzi. Nel 2007-2008, infatti si registrò una grande cavalcata dei prezzi alimentari, che si intrecciò con i primi effetti della crisi finanziaria. A essere colpiti dai rialzi di grano, farina, riso e semi di soia, all’epoca, non furono però le capitali della Borsa, ma i Paesi più poveri del globo, da Haiti al Senegal, dove scoppiarono le prime rivolte per il cibo. Poi un’altra ondata di rialzi nel 2010-2011, dovuta principalmente al raccolto di grano andato male tra Russia, Ucraina e Kazakistan. La decisione della Russia di chiudere le esportazioni di grano scatenò il panico sui mercati, mandò alle stelle le quotazioni e contribuì all’esplosione delle Primavere arabe con le proteste per il pane.  
Quei rialzi di prezzi hanno anche cambiato la geografia della produzione: Paesi forti economicamente, ma deficitari come produzione di cibo - in primo luogo gli Emirati del Golfo - scottati dall’esperienza, hanno avviato grandi acquisti di terre da coltivare in Africa. Evidenti i problemi sia per i contadini locali, sia per lo sfruttamento delle risorse. Nel 2014 invece, ha segnalato la Fao, il suo indice dei prezzi alimentari globali, è sceso per il quarto anno di fila, con un calo del 3,7% rispetto al 2013. Colpa, o merito - dipende se lo si guarda con gli occhi del produttore o con quelli del consumatore - di una serie di fattori: c’è lo sviluppo tecnologico, certamente, ma nell’ultimo anno l’influsso forte è venuto anche da condizioni climatiche che hanno consentito raccolti record. Nei silos degli Stati Uniti, dopo il maggior raccolto nella storia dell’onnipresente mais - viene usato per l’alimentazione umana ed animale, ma anche per produrre l’etanolo - ci sono adesso 258 milioni di tonnellate di riserve, il 7% in più di un anno prima; difficile che a breve il prezzo possa salire più di tanto. E poi, ovviamente, pesa anche il ciclo economico generale: se la Cina rallenta la sua crescita questo finisce immediatamente per ripercuotersi sui prezzi agricoli. Tra offerta sovrabbondante e domanda un po’ più debole del previsto nell’ultimo anno il prezzo del caffè, qualità Arabica, è sceso di oltre il 30%, quello del mais di più del 20%, così come quello del grano. Anche lo zucchero raffinato ha perso il 22% del suo prezzo mentre tra i pochi generi alimentari i cui prezzi salgono c’è la carne bovina, che costa circa il 7% in più di un anno fa: le nuove classi medie globalizzate di tutto il mondo affermano il loro status appena conquistato anche mettendo nel piatto una bistecca. 
Il futuro del cibo  
Basterà il sistema mondiale di produzione del cibo a sfamare il Pianeta quando tra pochi decenni - addirittura già a metà secolo - si prevede che la popolazione mondiale possa arrivare dai 7 miliardi attuali fino a 10 miliardi? I numeri e le proiezioni degli esperti dicono di sì. Ma sono solo numeri, per l’appunto. La tendenza del mercato è a una concentrazione delle esportazioni nelle mani di quelli che sono già i principali esportatori. Il riscaldamento globale impedirà alcune coltivazioni in zone che diventeranno troppo aride, ma potrebbe renderle possibili in zone che prima erano troppo fredde. Molto dipenderà anche da comportamenti difficilmente prevedibili: come si svilupperanno i movimenti verso le aree urbane e che effetti avranno sulle campagne? Quanto correrà la globalizzazione economica che si porta sempre dietro quella alimentare?  
Certo è che mentre i flussi commerciali si intensificano i problemi di distribuzione si moltiplicano. Distribuzione del cibo, prima di tutto, per tirare fuori larghe parti del mondo dalla sottoalimentazione; ma anche distribuzione del reddito, con la necessità che i piccoli agricoltori possano vendere i loro prodotti senza essere schiacciati dalle multinazionali. E distribuzione anche dell’offerta e della domanda: in quell’Africa che soffre la fame per moltissimi piccoli agricoltori l’accesso a un mercato più ampio di quello strettamente locale - se e quando avviene - è solo un caso.  

venerdì 24 aprile 2015

La missione di Padre Hermann

I PENSIERI E LE EMOZIONI DI BARBARA TESTA AL RITORNO DALLA MISSIONE IN RWANDA

Se partire è un po’ come morire, tornare allora è un po’ come rinascere. E io sono rinata, tornando a Saint Kizito. Dopo cinque anni di lontananza, ho rivisto visi e sguardi conosciuti, ho avvicinato persone nuove, riconosciuto bambini che ormai sono ragazzi. La vita qui è continuata, ci sono stati molti miglioramenti, cambiamenti, ma non sono mutati i sorrisi, la voglia di vivere di questi bambini e giovani ospitati nella missione di padre Hermann. Alcuni di loro hanno preso la propria strada, sono diventati adulti e ora vivono lontani, altri hanno deciso di rimanere lavorando nella scuola, molti sono appena arrivati. Hanno storie diverse, fatte di povertà e lutti, ma qui hanno trovato un’oasi di pace e serenità, fatta di ritmi e quotidianità, di studio e impegno costante, con la consapevolezza che solo con la determinazione si riusciranno ad ottenere buoni risultati. Una parola mi ha accompagnata in questa avventura, la sesta per me, ed è stata “fiducia”.
Ho sempre avuto fiducia in queste persone, nelle loro potenzialità. E oggi ne ho più che mai. La scuola superiore vicino alla missione è diventata, in sei anni, la migliore del Rwanda. Sforna studenti modello che vengono accolti molto bene nell’università di Kigali, la capitale. Ho fiducia e credo nelle potenzialità di tutti coloro che ho incontrato. Penso che con il giusto aiuto, creando una strada che possano percorrere, questi ragazzi potranno avere un futuro migliore, e potranno a loro volta aiutare altre persone. Come le maglie di una catena, che si intrecciano e diventano più forti insieme, anche loro, i ragazzi di Saint Kizito, potranno diventare forti unendosi. Ma la fiducia ce l’ho anche nei confronti delle persone che vivono fuori dalla missione. Anche loro stanno “crescendo”, stanno diventando sempre più autonomi. Più biciclette in giro, più capre, più mucche, vogliono dire che piano piano le persone hanno più soldi da parte per vivere. Hanno ancora bisogno di un aiuto, certo, che però non deve essere semplicemente “assistenziale”, non deve cioè dare un sostegno fine a se stesso. L’aiuto deve permettere a queste persone di diventare indipendenti.
E poi ho fiducia nelle persone che aiutano dall’Italia. Con il loro incoraggiamento, con la loro vicinanza, la nostra associazione riuscirà a fare tanto, con la consapevolezza che il mare sia fatto di tante piccole gocce. Dal Rwanda sono tornata rinvigorita, come mi succede sempre. Cercherò di trasmettere la positività che mi porto dentro, a più persone possibili. Perché la fiducia e la speranza di un domani migliore non deve abbandonarci mai.


Barbara

EXPO, TEMATICHE: La sfida è tenere insieme piacere e sussistenza

UN BELL'ARTICOLO DI SCURATI su La Stampa.

http://www.lastampa.it/2015/03/26/societa/expo2015/le-frontiere-del-cibo/un-miliardo-di-obesi-tre-di-denutriti-la-sfida-tenere-insieme-piacere-e-sussistenza-YBppWeRdlJFIVJleinSpbJ/pagina.html

«Trasel no!». Messo di fronte ai volti antichi di questi contadini africani, mi ritorna in mente mia nonna.  
“Trasel no!” (“Non lo sprecare!). Così ci ammoniva mia nonna Angela ogni volta che ci vedeva mangiare un boccone di companatico senza pane. Angela Recalcati, poi maritata in Scurati, era nata a Bresso, un borgo rurale a Nord di Milano, in una famiglia di contadini a mezzadria, di quelli che cedevano metà del raccolto al padrone. Era nata con il secolo, il 21 aprile del 1900, in un paese povero: l’Italia. 
Molti anni dopo, in una Italia divenuta oramai “potenza industriale mondiale”, se riceveva le visite dei nipoti, Angela Recalcati faceva regolarmente la spola tra la casa e il giardino. Lì, piantato nella terra, aveva tutto l’occorrente per preparare il suo minestrone, dai fagioli, alle patate, agli aromi. Disseppelliva gli ortaggi uno a uno, nelle quantità dovute, e li metteva sul fuoco in tegami di rame o d’alluminio che rimontavano al primo Novecento. Il sapore era indimenticabile, anche per dei bambini che di norma odiano il minestrone.  
L’orto, anche a più di trent’anni dalla fine del secondo conflitto mondiale, era ancora e sempre un orto di guerra. Non una sola pianta ornamentale allignava nel giardino della villetta dei miei nonni, niente che non desse frutti commestibili.  
A volte, per offrirci una leccornia, la nonna pelava le patate, le tagliava a dadini e ce le friggeva. Le friggeva nel burro, del tutto ignara di qualsiasi preoccupazione dietetica o salutistica. Per quelle come lei, che avevano trascorso la gran parte della vita in Italia quando l’Italia era un paese miserabile, il rapporto con il cibo oscillava tra i due poli estremi della pura sussistenza e del puro piacere. Ed era per questo motivo che, se ti vedeva ingoiare un boccone di qualsiasi pietanza non accompagnata da un morso di pane, la nonna ti ammoniva pietosa: “Trasel no!” (“Non lo sprecare!”). D’altra parte, però, per nonna Angela il massimo del godimento su questa terra era una fetta di gorgonzola. Anche quando, vecchia e malata, venne a vivere a casa nostra, nulla poteva impedirle di resistere al richiamo di quel formaggio verminoso.  
Una volta mia madre la pescò a notte fonda, già ultraottantenne, con la testa infilata nel frigo. Alla inevitabile reprimenda – i vecchi attirano i rimproveri, in questo soprattutto sono simili ai bambini – la nonna oppose una replica memorabile come una massima latina: “Nunc andem, el zola resta” (“Noi andiamo, il gorgonzola rimane”).  
Chissà che il nostro passato remoto e recente – vale a dire quel tempo prossimo eppure lontanissimo in cui vissero i nostri nonni – non possa guidarci verso il futuro del cibo. Dalle nostre parti non si parla d’altro, oramai, che di cibo – o di “food”, se preferite, come dicono le persone veramente “cool” – eppure a volte sembriamo piuttosto smarriti a riguardo. Si ha l’impressione che l’enorme mole di discorso sociale sul “food”, sviluppata dai paesi a capitalismo maturo, di cui il culto idolatrico degli chef è solo l’acuto stonato, sia più un de profundis che non una preghiera esaudita. Noi che, grazie a Dio, non abbiamo mai saputo cosa sia la fame, incantati dal cibo, non riusciamo più a tenere insieme piacere e sussistenza. Per mia nonna Angela, e per generazioni di donne e uomini prima di lei, l’esperienza del cibo si è consumata nell’oscillazione tra questi due poli. Ma per noi, oggi, i poli si sono scissi. Un po’ quel che è accaduto per il sesso e la riproduzione. I piaceri delle nostre tavole abbondanti ignorano la questione della sussistenza che attanaglia miliardi di persone. D’altro canto, l’ipersofisticazione dei nostri riti culinari ci spinge verso una cessione di quella sovranità gaudente che la nonna esercitava azzannando la mattonella di gorgonzola. E, dunque, eccoci qui sempre a parlare ossessivamente di cibo come chi cerchi e non trovi il bandolo della matassa. 
In tutta l’Europa occidentale, proprio al principio del nuovo millennio, la filosofia, la letteratura e la politica hanno ceduto il proprio posto alla gastronomia. Un decennio dopo, ovunque ci si volti, si trova qualcuno che affetta un salame proclamando: “Io faccio cultura!”.  
Solo pochi anni or sono sarebbe apparso impossibile che fra Platone e l’uovo in camicia, anche se tartufato, fosse il secondo ad assumere la leadership culturale. Eppure è andata così. Il supremo piacere del pensiero si è genuflesso davanti al flan di cardi e il piacere sensoriale si è cerebralizzato in speculazioni infinite.  
La musica non cambia nemmeno adesso che ci siamo scoperti più poveri dei nostri padri. Oltre le vetrine dei nostri ristoranti, il popolo continua a ingozzarsi di cibo spazzatura e a sognare il tonno di coniglio invece della rivoluzione. 
Nel nostro vecchio mondo satollo la capacità di produrre proteine ha superato quella di generare persone. Ci siamo ripetuti a lungo la leggenda dell’espansione infinita, dei mille anni di sazietà universale, della vita che doveva essere meravigliosa.  
Una porzione di carne da 100 grammi economica quanto una pagnotta o una bibita in lattina. L’uomo europeo arrivato a consumare un quarto di chilo di polpa al giorno, il 90% dei cereali d’America ingeriti sotto forma di carne o latticini, 45 chili di pastone di frumento per produrre un singolo chilo di carne. E l’Africa aveva fame, l’India aveva fame, la Cina aveva fame. Occorreva un altro miliardo di tonnellate di granaglie da mangime. Poi ancora uno. E uno ancora. Un mare di fertilizzanti azotati, l’erosione dei suoli, il crollo della resa per ettaro. La gigantesca inefficienza dei bovini da macello. Un miliardo di obesi e tre di denutriti. Era un mondo che non poteva durare. 
Finalmente sembriamo averlo capito. Tenere insieme piacere e sussistenza. Ecco la sfida per il nuovo millennio. 

martedì 21 aprile 2015

ART & FOOD: Mostra alla Triennale di Milano

La multiforme relazione fra le arti e il cibo sarà ripercorsa e 
analizzata nel Padiglione Arts & Foods l’unica Area tematica
 di Expo Milano 2015 realizzata in città ospitata al Palazzo 
della Triennale dal 9 Aprile fino al 1 Novembre 2015. 











Allestita negli spazi interni ed esterni della Triennale – 7.000 metri quadrati circa tra  edificio e giardino – Arts & Foods metterà a fuoco la pluralità di linguaggi visuali plastici, oggettuali e ambientali che dal

 1851, anno della  prima Expo a Londra, fino ad oggi hanno
 ruotato intorno al cibo, alla nutrizione e al convivio.
 Una panoramica mondiale
 sugli intrecci estetici e progettuali che hanno riguardato i riti
 del nutrirsi e una mostra internazionale che farà ricorso a 
differenti media così da offrire un attraversamento 
temporale, dallo storico al contemporaneo, di tutti i livelli di 
espressività, creatività e comunicazione espressi in tutte le 
aree culturali.
Con una prospettiva stratificata e plurisensoriale  Arts & 
Foods, a cura di Germano Celant e con l’allestimento dello 
Studio Italo Rota, cercherà di documentare gli sviluppi e le
 soluzioni adottate per relazionarsi al cibo, dagli strumenti di
 cucina alla tavola imbandita e al picnic, dalle articolazioni 
pubbliche di bar e ristoranti ai mutamenti avvenuti in 
rapporto al viaggio per strada, in aereo e nello spazio, dalla 
progettazione e presentazione di edifici dedicati ai suoi 
rituali e alla sua produzione. Il tutto apparirà intrecciato alle 
testimonianze di artisti, scrittori, film makers, grafici, 
musicisti, fotografi, architetti e designers che, 
dall’Impressionismo e dal Divisionismo alle Avanguardie 
storiche, dalla Pop Art alle ricerche più attuali, hanno 
contribuito allo sviluppo della visione e del consumo del cibo.

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domenica 12 aprile 2015

ANCHE GLI CHEF HANNO UN'ANIMA


Ho avuto la fortuna di conoscerne uno non solo "normale", ma anzi molto simpatico. Io l'ho definito una persona e non un personaggio. Eppure è un personaggio pubblico molto noto e seguitissimo: Sergio Maria Teutonico. Succede che l'associazione Ratatuja di Albenga (Sv) lo ha invitato per una performance pubblica. Ha preparato due ricette (risotto con zucca trombetta e asparago violetto; pomodoro cuore di bue ripieno con carciofi) usando i prodotti tipici della nostra Piana ortofrutticola. Io, dovendo condurre il pomeriggio articolato anche con una gara di torta pasqualina, ho avuto modo di stare un pò con lui. Ovviamente la prima foto è una finta! Così come da casa -infatti- a volte vorrei essere io a pugnalare certi chef che vedo in tv che mi stanno antipatici (il primo era stato Vissani, poi altri invidiosi del suo comportamento hanno peggiorato ancora la cosa ultimamente) invece con lui non sarebbe proponibile. E non solo per la differenza di corporatura per cui perderei 30 pugnalate a 0. Ma lui dice che dietro comportamenti bizzarri c'è della grande professionalità. Si, si, ma ho già avvertito quelli dell'Associazione che se invitano quello che dice "tu mi diludi" io quel giorno sono malata. E' stato un bel pomeriggio, durante il quale anche il nostro Sindaco si è esibito nella replica del risotto poco prima preparato dallo chef. A tale proposito c'è un video ma sarà meglio che non ve lo faccia vedere, ahahah. Vi metto solo qualche foto. Di Teutonico intanto saprete già tutto, se vi mancano le ultime sulla sua rutilante e frenetica attività seguitelo - oltre che su Alice - anche:
http://www.lapalestradelcibo.com/
https://www.facebook.com/pages/Sergio-Maria-Teutonico/33280899969?fref=ts

locandina dell'evento

vicepresidente e segretario dell'associazione, nonchè sguatteri al servizio del protagonista

il pomodoro farcito con carciofi di Albenga e altre buone cose

il risotto mantecato con le lamelle di trombetta e asparago e altre buone cose

con Patrizia e Lorella dopo la "gara" di emulazione dello chef

premiazione della miglior torta pasqualina

panoramica della postazione, con segretario e Presidente di Ratatuja

vabbè, alla fine l'ho scampata!

sabato 4 aprile 2015

Pasqua di Snoopy


PASQUA DI PASSIONE

Tutti a fare gli auguri di Pasqua, pensando ai pranzi e alle uova da aprire. Ma prima della Pasqua c'è la Passione e i cristiani dovrebbero ricordarlo, senza essere troppo allegri. In molti paesi si recita in costume la Via Crucis e si fa a gara per avere la parte di Gesù e della Madonna che sono le guest star della sit com. In altri Paesi c'è stata invece una rievocazione della Passione ma non finta, visto che i Cristiani vengono trucidati per davvero. Ma forse visto che non sono bianchi e non sono italiani per noi non è importante. Ok, hanno vinto il premio per la rievocazione più veritiera. Noi potremmo pensare un pò meno all'Uovo di Pasqua e invece a cosa significa questa Festa. Che si creda tanto o poco, qui la Chiesa non c'entra molto. E' un significato universale. Anche chi non crede a volte si sacrifica per qualcuno. Volentieri.
Tornando alle rievocazioni:
<Nelle Filippine, le cerimonie sono molto cruente. Durante la via crucis i 'penitenti' si sottopongono a vere e proprie crocissioni indossando corone di filo spinato.
Gerusalemme è il luogo simbolo che richiama ogni anno migliaia di pellegrini. La notte del Venerdì la città e' attraversata da un fiume ininterrotto di fedeli che visitano tutti i luoghi sacri, in particolare la chiesa del Santo Sepolcro. Le cerimonie si concludono con la tradizionale processione che si svolge lungo la Via Dolorosa, nella città Vecchia.
A Roma, siriani, nigeriani, iracheni, egiziani, cinesi, dalla Terra Santa, e ovviamente italiani, singoli e famiglie,  faranno parte del drappello che questa sera, nella suggestiva cornice del Colosseo, porteranno la croce nella Via Crucis presieduta da papa Francesco.>
 Leggi articolo su: ANSA NEWS

giovedì 2 aprile 2015

PASQUA IN LIGURIA: TORTA PASQUALINA

E finalmente arriviamo ad un piatto tipico, talmente tipico di tutta la Regione che le versioni sono infinite. E i litigi anche. E' un piatto preparato con gli ingredienti primaverili. Oggi non ce ne rendiamo conto perché troviamo tutto e sempre ma decenni, per non dire secoli, fa si mangiava ciò che dava la natura in quel periodo. Questo è il periodo della rinascita dell'orto e della ripresa della produzione delle uova e del latte; inoltre in Quaresima le uova non si potevano usare, se non il bianco solamente, quindi Pasqua era la possibilità di ricominciare a cibarsene.

Comunque tornando alle ricette, nelle Riviere e nell'entroterra si fa con le bietole, a Genova dicono che si fa coi carciofi e non c'è verso di fargli capire che è buonissima ma non è l'originale. C'è anche chi mescola le due verdure. A Levante e genovesato si usa la Prescinseua (cagliata di latte), dalle altre parti la ricotta; poi c'è chi mette solo Parmigiano e chi anche Pecorino. Poi le uova: solo mescolate o anche intere in mezzo all'impasto. E il riso? In alcune zone è d'obbligo, soprattutto nell'entroterra, in altre è un sacrilegio. E infine il numero delle sfoglie: da 33 come gli anni di Cristo a due, una sopra e una sotto. Non fatevi prendere dallo sconforto, va bene anche se per allenarvi cominciate con la sfoglia surgelata e spinaci surgelati: viene un'altra cosa - TUTTA UN'ALTRA COSA - ma sempre torta di verdure è.
Quello che segue è un esempio decente che si trova in rete:

Ingredienti per 8 porzioni:
  • 600 g di farina 00
  • 100 g di olio extravergine d'oliva
  • 1 kg di bietole (erbette)
  • 1/2 cipolla
  • 1 cucchiaio di prezzemolo tritato
  • 1 cucchiaio di maggiorana tritata
  • 500 g di quagliata, prescinseua o ricotta
  • 100 g di parmigiano grattugiato
  • 5 uova grosse
  • sale
  • pepe
Preparazione: preparare la base per la torta pasqualina impastando la farina con 5 cucchiai di olio, un pizzico di sale e acqua tiepida fino a formare un impasto liscio ed elastico. Dividere l'impasto in 10 pezzi, di cui due più grandi, e far riposare almeno 1 ora le palline sotto un telo inumidito.
Preparare il ripieno della torta pasqualina affettando finemente la cipolla, lavare le bietole e tagliarle a striscioline. Scaldare 2 cucchiai di olio in una padella antiaderente e unire la cipolla e le erbette, salare e cuocere finché non si saranno ammorbidite, quindi aggiungere il prezzemolo tritato.
In una terrina unire la ricotta (la quagliata o prescinseua per chi le riesce a reperire), le erbette, la metà del parmigiano, la maggiorana, sale e pepe e amalgamare il tutto.
Stendere una delle palline più grandi con il mattarello o con la macchina apposita in una sfoglia sottilissima. Mettere la prima sfoglia dentro a uno stampo da 26-28 cm leggermente unto di olio. Spennellare con olio e procedere allo stesso modo con altre quattro porzioni di pasta: stendere, ungere e sovrapporre delicatamente, ma senza ungere la quinta sfoglia, sulla quale verrà adagiato il composto di erbette e ricotta. Praticare 5 fossette nel ripieno e sgusciarvi delicatamente all'interno le uova, quindi ricoprire le uova con fossetta con parmigiano, un pizzico di maggiorana, sale e pepe.
Ricoprire con le sfoglie rimaste, lasciando per ultima quella più grande, ungendo sempre ogni sfoglia prima di sovrapporne un'altra e terminando con quella più grande, che chiuderà il tutto. Per amplificare la lievitazione delle sfoglie della torta pasqualina, si può insufflare aria tra una sfoglia e l'altra con una cannuccia. Porre in forno caldo a 180 gradi per circa 50 minuti.

SE VOLETE QUELLA COI CARCIOFI ECCO UNA RICETTA SERIA:
Ricette della cucina ligure: la torta pasqualina - Mentelocale.it
La ricetta che alleghiamo è quella della cosiddetta pasqualina di carciofi (che in realtà è una cappuccina) e come sempre teniamo a precisare che si tratta di una delle innumerevoli versioni.
Le quantità degli ingredienti sono indicate per preparare una torta per circa 6 persone in un tegame del diametro di 28 cm.
Gli ingredienti
Per la pasta250 gr di farina Manitoba, 130 gr di acqua, 60 gr di olio extravergine d’oliva, sale quanto basta
Per il ripieno: 5 carciofi, 80 gr di ricotta, 50 gr di latte, 50 gr di parmigiano, 2 uova intere più 2 bianchi (i rossi si tengono a parte per metterli sull’impasto), un cucchiaino di aglio e prezzemolo in precedenza tritati e scottati in padella con un po’ d’olio, sale quanto basta, un limone, un po’ di farina, olio extravergine per la cottura dei carciofi, per innaffiare leggermente la torta, per ungere il tegame e per spennellare la torta a fine cottura
La pasta
Con queste dosi si ottiene tanta pasta da fare il fondo della torta e due sfoglie per ricoprirla. Siamo lontani dalle 24 (e oltre) sfoglie di copertura, ma per chi desiderasse imitare la Scià Carlotta, è sufficiente aumentare proporzionalmente la quantità degli ingredienti.
Impastare gli ingredienti avendo cura di ricavarne una pasta molto morbida che si lascerà poi riposare sotto un panno umido. È bene tagliarla in due o tre parti arrotondandole poi a forma di cupola; si assottiglieranno poi una alla volta.
Ricette della cucina ligure: la torta pasqualina - Mentelocale.it
Di solito dei carciofi più belli si utilizza quasi tutto il gambo, dopo averlo pulito e tagliato in pezzetti sottili. Quindi si rimuovono con cura le foglie più esterne, che sono anche le più dure.
Si taglia poi la parte superiore con le spine e si divide il carciofo in due metà sezionandolo in verticale. Dall’interno si rimuovono con molta cura i piumini e le parti apicali delle foglioline centrali. A questo punto si mettono i carciofi in una bacinella di acqua fredda, nella quale sia stato spremuto un limone e si sia aggiunta una manciata di farina.
Finita la pulizia, i carciofi si colano e si risciacquano con cura, si tagliano poi a fettine non troppo sottili (circa mezzo centimetro) e si mettono in una pentola con abbondante olio ben caldo.
Si fanno andare per qualche minuto (coperti) girandoli ogni tanto con un cucchiaio di legno. Si aggiunge quindi un po’ d’acqua e si ultima la cottura. Occorreranno circa una diecina di minuti.
A questo punto si scioglie la ricotta in una scodella con un po’ di latte.
È il momento di preparare il ripieno: si prendono i carciofi e si mettono in un contenitore dove si amalgameranno tutti gli ingredienti. Si aggiungono l’aglio e il prezzemolo già pronti, le due uova intere più i bianchi, la ricotta sciolta nel latte e il parmigiano; si dosa il sale a proprio piacimento e si mescola bene il tutto.
Si prende poi una pallina di pasta e si tira con il mattarello, si appoggia sul dorso delle mani e si assottiglia ulteriormente. Questo è il fondo della torta e non deve essere troppo sottile. Si deposita la sfoglia sul tegame precedentemente oliato avendo cura di farla fuoriuscire oltre il bordo. Vi si versa poi l’impasto e lo si dispone in modo omogeneo su tutto il fondo.
Si deposita quindi il rosso d’uovo al centro dell’impasto e a piacere se ne mettono altri.
Si prende poi un’altra pallina di pasta, la si tira come prima ma molto sottile e la si deposita sul ripieno in modo che anch’essa fuoriesca dal bordo del tegame.
Se si desidera formare una cupola sopra la torta, dopo aver leggermente inumidito la pasta in corrispondenza del bordo, si dovrà appoggiare la sfoglia di copertura sopra una metà del tegame facendola aderire all’altra metà dopo averla sollevata, come si fa quando si distende una tovaglia sul tavolo. Questo è il metodo usato dai professionisti e rende assolutamente inutile quella brutta operazione che consiste nel coprire la torta e poi soffiare all’interno mediante una cannuccia per innalzarne la sfoglia e darle la forma di cupola. Non è igienicamente accettabile e soprattutto lo fa solo chi non conosce altro metodo.
Prima di mettere la seconda sfoglia, è bene cospargere leggermente d’olio quella sottostante.
Due o tre strati sono già sufficienti ma a piacere se ne possono aggiungere altri. Se le sfoglie sono ben sottili si possono fare una decina di strati e il risultato finale sarà ottimo.
Terminata la copertura, si tagliano le eccedenze di pasta poco oltre il bordo del tegame e si rivoltano i lembi sopra la torta a formare un piccolo orlo che correrà tutto intorno alla superficie superiore. Si cosparge ancora con un filo d’olio e si informa a 180°C.
Per la cottura ci vorranno circa 40 minuti; occorre controllare la coloritura della cupola e, appena la pasta comincia a scurirsi, coprirla con un pezzo di carta da forno, limitandosi a proteggere solo la parte centrale o le eventuali altre zone troppo colorite. Questa operazione agevolerà una cottura omogenea.

Ricette della cucina ligure: la torta pasqualina - Mentelocale.itUna volta sfornata, la torta può essere spennellata con poco olio in modo da evitare che la superficie si sbricioli durante il taglio delle fette.

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Arte: CARAVAGGIO, Cena in Emmaus


mercoledì 1 aprile 2015

PASQUA IN LIGURIA: CIMA RIPIENA

Ecco un altro esempio di cucina "povera" che diventa un classico delle Feste. Questo piatto è la croce di molte giovani cuoche e si sprecano i consigli sul modo di non farla rompere in cottura. Comunque dovesse succedere il fattaccio avrete un brodo buonissimo con una specie di stracciatella dentro, nutriente ed inconsueto.

Ingredienti:
-Una cima di vitello per 6 persone (cucita)
-6 uova
-2 etti di manzo tritato
-1 etto di prosciutto cotto in una sola fetta
-2-3 foglie di lattuga
-30 gr di funghi porcini secchi
-1 etto di cervella
-50 gr di filone
-mezza cipolla
-piselli surgelati
-80 gr di formaggio grattato-qualche fogliolina di maggiorana
-pinoli-una grattatina di noce moscata-sale pepe-olio extravergine d'oliva ligure
 Mettere i funghi secchi a rinvenire nell'acqua per circa 2 ore. Tagliare la cervella a piccoli pezzettini. Tritare la cipolla e soffriggere in poco olio  la carne tritata, la cervella e la cipolla. Aggiungere qualche fogliolina di maggiorana. "Spremere" il filone in modo da far uscire il sughetto e incorporarlo alla carne che si sta soffriggendo. Salare e pepare. Nel frattempo tagliare a piccoli dadini il prosciutto cotto.  Sbollentare i piselli. Tagliare i funghi a piccoli pezzettini. Tagliare a piccoli pezzettini la lattuga eliminando la parte bianca. Sbattere le uova in una terrina capiente. Aggiungere la carne soffritta sgocciolandola accuratamente. Aggiungere il prosciutto, i funghi, i piselli la lattuga, i pinoli, una grattatina di noce moscata. Salare leggermente (la carne è già stata salata precedentemente), aggiungere il formaggio grattato. Si deve ottenere un impasto abbastanza sodo, non liquido. Non utilizzare il mixer per tritare gli ingredienti, altrimenti l'impasto risulta troppo fine. Riempire la cima tenendo conto che le uova cuocendo si espandono, quindi  riempire la cima solo per due terzi. Dopo aver riempito la cima cucire il lato aperto, effettuando un sopraggitto. Metterla sul fuoco in acqua fredda. Dopo alcuni minuti che l'acqua bolle, punzecchiare la cima con un ago, altrimenti scoppia. Salare l'acqua. Deve cuocere circa 1 ora totale. Controllare la cottura con l'ago. Quando è cotta spegnere il fuoco e lasciarla nell'acqua fino a quando non è fredda.  Metterla quindi in un colapasta a scolare per una notte, in alternativa si può preparare alla mattina presto ed essere consumata alla sera.
Ecco invece una versione con meno carne ma della quale vediamo in foto tutto il procedimento:
 http://www.genovainbocca.it/cima_alla_genovese.htm
Ingredienti per 6 persone:
600 gr. carne (pancia di vitello)
50 gr. grana padano
1 carota di circa 100 gr.  (Vd. sotto "mangia che ti fa bene")
100 gr. piselli
5 uova intere
20 gr. pinoli
1 pezzo da 100 gr. prosciutto cotto
10 gr. lattuga
8 gr. sale fino

Per il brodo:
1 carota, 1cipolla, 1 gamba di sedano, 1 dado vegetale, sale q.b.

Preparazione
 Cucire con spago  da cucina e ago da materassi la carne a mò di tasca lasciando una piccola apertura nella parte superiore per  inserire all'interno il ripieno.
Mettere al fuoco una pentola d’acqua e aggiungere: sedano, carota, cipolla e dado vegetale e portare ad ebollizione.
Bollire la carota lasciandola al dente e tagliarla a rondelle sottili.
Tagliare il prosciutto  cotto a dadini.
Tagliare la lattuga a listarelle.
Prendere una ciotola , sbattere le uova e incorporare il formaggio, la carota, la lattuga, i pinoli,i piselli, il prosciutto cotto e il sale.
Con un cucchiaio prendere il ripieno ottenuto e introdurlo nella sacca che deve essere riempita per ¾ dello spazio.
Cucire l’ultimo tratto rimasto aperto e immergere la cima lentamente nel brodo bollente.
Continuare a cuocere a fuoco lento per circa 1 ora e ½ e  la fine della cottura  si otterrà quando pungendo la carne con uno stecchino non uscirà più alcun liquido.
A questo punto, togliere la cima dal fuoco e metterla per 12 ore in “careghea” cioè sotto un peso in modo che esca il liquido superfluo.
Prima di presentarla in tavola tagliarla a fette.

FOTO: PARTITA LA CACCIA AL PESCE D'APRILE