domenica 10 aprile 2011

Mangeremo come in Giappone. Europa più severa sulla radioattività nel cibo

(articolo di Maria Ferdinanda Piva)
Adesso finalmente mangeremo come i giapponesi. Nel senso che ieri l‘Unione Europea ha deciso di accettare, per le importazioni alimentari provenienti dal Giappone, gli stessi limiti di tolleranza della radioattività che sono in vigore nel Giappone stesso da Fukushima in poi. E che sono particolarmente severi.

Personalmente non credo che l’Ue sia stata mossa dal desiderio di proteggere la nostra salute: l’ha fatto solo per armonizzare e salvaguardare il commercio internazionale. In quest’ottica, spero che il Giappone tenga duro: sennò sono guai anche per noi.
L’Unione Europea ha diffuso la notizia in un modo piuttosto contorto, senza allegare la tabella in vigore in Giappone.
L’ho scovata, ed eccola qui...(continua a leggere su: http://informarexresistere.fr/mangeremo-come-in-giappone-europa-piu-severa-sulla-radioattivita-nel-cibo-2.html)

sabato 9 aprile 2011

Tonno radioattivo?

I produttori rassicurano: "In Italia nessun pericolo". Ma solo un'azienda ha risolto il problema della tracciabilità. Stretta Ue sui livelli di radioattività ammessi....continua a leggere su Repubblica (articolo di Monica Rubino):
Pesce in scatola a rischio in Europa?

venerdì 1 aprile 2011

Il rancio dell'ottocento


Uno studio, condotto sull'alimentazione nelle campagne italiane nella prima metà del XIX secolo (800), dà un quadro impressionante delle condizioni di vita delle popolazioni rurali (prevalenti) e urbane. " Pane di granoturco, minestre nelle quali si ammanniscono le materie più scadenti come polenta, patate, castagne, legumi che costituiscono la quasi totalità del vitto dal quale è pressoché esclusa la carne se non da cortile una volta ogni tanto". A questo si aggiunge l'analfabetismo (80%), la povertà delle abitazioni e del vestiario. Al nord tra nebbie, neve e freddo la cucina di base è la minestra o zuppa di verdure e la polenta con le inevitabili conseguenze sanitarie (pellagra). La frutta è principalmente costituita da mele, pere e frutta minore, nonché da uva, che viene trasformata in vino e che, più che bevanda, è cibo. Al sud e nelle isole, il clima più mite consentirebbe una cucina a base d'olio, pomodoro e tante verdure caratteristiche (broccoli, cime etc.), pastasciutta nonché pesce e agrumi. Oggi tale cucina è più nota come " cucina mediterranea", ma all'epoca non si sapeva e si conoscevano i suoi benefici. Abbiamo infatti detto consentirebbe perché alle classi proletarie una fetta di pane e qualche oliva era già una concessione. Il rancio preunitario dell'esercito sardo aveva quindi alla base una robusta razione di pane, cui si aggiungeva un monotono susseguirsi di brodi di verdura e carni lessate, in cui si cuoceva cavolo, riso, pastine e legumi, con integrazioni di conforto come gli alcolici, in occasioni speciali, e il vino. Il resto del vino i soldati se lo andavano a bere nelle osterie. La carne da brodo lessata proveniva dalle vaccine più vecchie ed era naturalmente indigeribile. Ricordiamo che gli animali da fattoria erano allevati principalmente per il lavoro, poi per il latte e la riproduzione. Ne consegue che solo in "avanzatissima" età venivano abbattuti o cadevano da soli. La quantità giornaliera di carne, alta anche secondo gli standard odierni, non deve quindi trarre in inganno. Si trattava in genere di tagli di scarsa qualità e valore nutritivo, ovvero frattaglia.
Nel nord solo il maiale fa eccezione nella cucina popolare poichè nei mesi invernali.....(continua sul sito dei bersaglieri:http://digilander.libero.it/fiammecremisi/rancio.htm)

giovedì 31 marzo 2011

Pesce d'Aprile

Ingredienti per 4 persone: 250 g tonno, 500 g  di patate lesse, maionese, 1 cucchiaio capperi, cetriolini sott'aceto, peperoni sott'aceto, carciofini sott'olio

Preparazione: tritate il tonno, i capperi e qualche carciofino. Schiacciate al passaverdura le patate; impastate il tutto e cercate di ottenere la forma di un pesce (ideale usare uno stampo apposito, ben oleato oppure fasciato internamente con domopak, dove verserete il composto e che metterete in frigo per qualche ora). Ponete il pesce finto in un piatto da portata, ricopritelo di maionese e guarnitelo a piacere, anche con i cetriolini e i peperoni.
(foto da: cookaround.com)

sabato 19 marzo 2011

Alimentazione nel 1800

Agli inizi dell’Ottocento ci troviamo di fronte ad una eccezionale “forza delle idee”, accompagnata da un accumulo di ricchezze da parte dei paesi colonialisti mai visto prima, da uno sviluppo altrettanto impressionante delle più importanti scoperte scientifiche della intera storia dell’umanità, dal perfezionamento delle tecnologie relative alle attività agricole e zootecniche, dalla crescita di paesi emergenti come gli Stati Uniti d ‘America, dai commerci europei e poi mondiali che si sviluppano a dismisura, soprattutto intorno alla metà dell’Ottocento, grazie alla ferrovia.
Per quanto riguarda l’alimentazione, basterà immaginare i milioni di tonnellate di prodotti alimentari che si spostano ormai rapidamente per centinaia di chilometri; pensare alle scoperte di Louis Pasteur e di Nicolas Appert, che apriranno la strada dell’inscatolamento industriale di carne, verdure e minestre, oppure pensare alle nuove tecniche di refrigerazione e di congelazione.
Nel 1850 il mattatoio di Londra si trova ad Aberdeen, a 800 km dalla capitale e ogni mattina giungono in città “ montagne di ottime carni macellate il giorno prima” come riportano le cronache dell’epoca.
Inutile rievocare le terribili condizioni di vita del primo proletariato inglese, pane duro e tè…
Ma la logica della produzione industriale non può mantenere escluse a lungo le masse, le classi inferiori, dal godimento di almeno parte delle risorse alimentari. Verdure, prodotti in scatola, zucchero, cacao e infine carne vengono offerti a prezzi via via più accessibili.
Parlare di Europa è particolarmente difficile; in troppe regioni del continente le situazioni sono “arcaiche”, legate soltanto all’agricoltura ed a un poco di pastorizia; il consumo di prodotti locali è ancora l’unico presente. L’Italia moderna, la cui data di nascita è, come ben sappiamo, il 1860 ne è un clamoroso esempio.
L’Europa è di nuovo divisa in due, non per abitudini, cultura o religione, ma per ricchezza. In ogni caso si possono intravedere verso la fine dell’Ottocento alcune situazioni che risulteranno evidenti nel XX sec:.
-si allenta il vincolo tra alimenti e territorio e si amplia a dismisura l’offerta di massa di ogni genere di prodotto alimentare
-si uniformano, seppure lentamente, i modelli alimentari
-i modelli alimentari diventano urbani, non soltanto perché le grandi città crescono in maniera esponenziale, poiché la società industriale è una società a alto tasso di urbanizzazione o se preferite di concentrazione di persone e di ricchezza, ma anche perché la città propone veri e propri modelli, che seppure in continua evoluzione, valgono per tutti
Questa Storia comincia soprattutto nel Nord Europa; l’Italia viaggia con molto ritardo….La nostra rivoluzione alimentare di massa dovremmo datarla 1950!


(tratto da un articolo di: http://www.lacucinaitaliana.it/)

mercoledì 16 marzo 2011

Gnocchi TRICOLORI

Per festeggiare in modo semplice acquistate degli gnocchi ai tre colori e conditeli semplicemente con burro e formaggio, oppure olio d'oliva extravergine e pinoli.






Oppure fate, o acquistate, degli gnocchi di patate normali e conditeli con tre sughi diversi: il pesto, il burro (o l'olio) e formaggio, e il pomodoro. Serviteli insieme e Buon Compleanno Italia!

martedì 15 marzo 2011

Garibaldi e la mensa essenziale

Giuseppe Garibaldi di carattere irrequieto e avventuriero, già da giovanissimo s’imbarcò come marinaio. Appena venticinquenne fu capitano di un mercantile, e durante uno dei suoi viaggi conobbe il gruppo di esuli liguri che lo iniziarono alle idee della “Giovine Italia”. Avvicinatosi ai movimenti patriottici europei ed italiani, abbracciò gli ideali di libertà ed indipendenza cari a Mazzini. Garibaldi a ventisette anni scappò esule in America Latina, combattendo per l’indipendenza di Brasile e Uruguay. Trentacinquenne sposò la compagnia Anita a Montevideo, formando poco dopo con altri esuli, quella “Legione Italiana” che vestirà per la prima volta la leggendaria camicia rossa.
L'eroe dei due Mondi aveva abitudini alimentari semplici ed essenziali. Sopra alla sua mensa spiccavano rustiche zuppe di verdure e legumi, stoccafisso, salame, formaggio, fichi secchi, anche se non disdegnava preparazioni come le “trenette al pesto”.
Le gallette da marinaio con uva passa sembra che fossero il dessert preferito dal generale, e i “Biscotti Garibaldi”, squisite gallette con uva passa ancora oggi in vendita nei grandi negozi inglesi, sarebbero ispirati a questa sua golosità.
Il pesce cotto appena pescato, condito con il solo sapore del mare era una costante della sua tavola. Egli amava mangiarlo anche crudo, come sappiamo da un ricordo di Clelia che descrive il padre a Caprera intento a gustare scampi, ancora gocciolanti d’acqua salata, su un pezzo di giornale come tovaglia. Quelli furono anche gli anni nei quali, dopo i trionfi della spedizione dei Mille, Garibaldi si dedicò all'agricoltura e all'apicoltura, definita da lui stesso “occupazione prediletta”, in una lettera indirizzata al Presidente della Società Italiana di Apicoltura.
Stando alle numerose testimonianze scritte successive al 1860 egli considerava se stesso non solo un uomo d’armi ma anche un qualificato agricoltore. Proviene dal diario della figlia Clelia la bella immagine che ritrae il famoso condottiero in questa veste:
“M’era tanto caro aiutare Papà in qualche lavoretto. Ero io, per esempio, che, nella stagione invernale, portavo il miele alle api. D’inverno, senza fiori, nelle arnie si fa la fame. Io entravo con due piattini, uno per mano, ripieni del dolce nettare e li posavo vicino alle arnie, non senza un vago senso di paura per le tante api che mi svolazzavano intorno”.
Alcuni cronisti ritengono che la "spedizione dei Mille” di Garibaldi abbia contribuito non solo alla realizzazione dell’unità d’Italia, ma anche alla diffusione della pasta in tutta la penisola.
Massimo Montanari, autore del "Convivio oggi: storia e cultura dei piaceri della tavola nell'età contemporanea", a proposito di Garibaldi riporta questa cronaca.
Nella pubblicazione "Il ventre di Mi­lano" del 1888, opera collettiva che avrebbe dovuto illu­strare la vera fisiologia della capitale morale d'Italia si legga la cronaca di un pranzo allestito a Pavia, in tutta fretta e con qualche problema organizzativo, per la venuta di Garibaldi.
Correva il 1861. Era il tempo degli entusia­smi per Garibaldi. Non fa d'uopo di spiegare il perché.
I pavesi un giorno vengono a sapere che il grand'uomo doveva venir nella loro città a trovare la madre di Cairoli, e organizzano il banchetto. Chi fosse curioso di leggere la re­lazione, dirò così, ufficiale di quel pranzo, non ha che a con­sultare i giornali di quell'epoca grande e gloriosa. [...]
A tavola erano quattrocento. Sedevano nella grande sala a primo piano dell'albergo dei Tre Re di proprietà del signor Pietro Galli.
Nel menu... ci dovevano essere tra gli altri piatti del branzino in bianco e delle pernici in salmì. Il signor Galli sulle prime si grattò in capo. Dove si pigliano lì per lì dei branzini e delle pernici per quattrocento garibal­dini, giovani pieni di valore ma anche di appetito? Eppure non si poteva far a meno.
C'era in quel tempo a Pavia il signor Federico Carini, uno de' più strenui camerieri di albergo e di restaurant ch'io conosca. Egli è capace di servire quaranta persone, disperse in molti tavoli, da solo. Tant'è vero ch'egli è unico nel re­staurant della Porta Lunga in piazza Santo Stefano, frequen­tatissimo specialmente nelle domeniche, e nessuno si lamen­tò mai d'essere stato lasciato in dimenticanza. Egli è il Pico della Mirandola dei camerieri. Con lui stava anche un certo Baldi, che ora fa il mediatore. Carini fu chiamato dal Galli, il quale gli confidò d'aver preparati sessanta piccioni e venti fra trote e lucci, che dovevano passare per pernici e per bran­zini. Mancargli soltanto ventisei teste e ventisei code di vere pernici per la presentazione in tavola. Carini a queste finzio­ni non era nuovo certamente. Pure pensando che il trucco si doveva farlo a Garibaldi, sulla prima reagì. Ma necessità non ha legge. Il tempo stringeva. Per quattrocento persone ci volevano almeno sessanta pernici. E si sa bene che non si trovano sempre lì covate e a giusto punto sessanta pernici. Di teste e di code perniciose invece v'ha sempre buona scorta ne­gli alberghi. Vada dunque pei piccioni. Tanto e tanto il salmì saprà far miracolo. Si è cuochi o non si è cuochi?
Garibaldi del resto non ne toccò. Egli mangiò due fettine di prosciutto, un'aringa, e un po' di luccio-branzino. Rifiutò tutto il resto. Il pranzo costò ai sottoscrittori ottocento lire.
(testo e foto da: http://www.taccuinistorici.it; nella foto Garibaldi e la figlia Clelia nel 1876)