mercoledì 13 maggio 2015

EXPO ISTRUZIONI PER L'USO 5: FRANCIA E LEGNO

E insomma i cugini francesi sono stati bravi. Un allestimento suggestivo, con tutti i loro prodotti e le zone climatiche e le tipicità regionali. Dentro tutto appeso, anche le farine e le uova, magari dentro contenitori e trattenuto da un alveare di legno che complessivamente risulta come un igloo ligneo; e poi gli attrezzi da lavoro di campagna e di cucina, sempre appesi. Affascinante. Fuori invece metri e metri di orto FRESCHISSIMO. Insomma da invidiare, secondo me. Persino i carciofoni dello scultore, da invidiare. E noi?









Tanto il legno all'Expo, in tutte le versioni. Ecco ad esempio l'esterno del padiglione Uruguay, con una trama moderna che trattiene ceppi di legno VERO e tagliato grezzo, proprio con l'ascia. O almeno questa è l'impressione.


Ecco invece in un cluster delle canne, anche queste appese
 E infine l'esterno del padiglione Vietnam


domenica 10 maggio 2015

EXPO ISTRUZIONI PER L'USO 4: CHI PUO' E CHI NON PUO'

cluster bio Mediterraneo
 Per favore non limitatevi a ciondolare a bocca aperta nella parte centrale del Decumano. Guardate la benedetta cartina del luogo e andate a scoprire gli angoli remoti. E' ovvio che vi hanno messo sul cammino delle Nazioni e delle Multinazionali più remunerative e remunerate. Invece ci sono dei cluster deserti, dove "vanno solo le scolaresche a mangiare sulle panchine" (sentito con le mie orecchie come indicazione da una veterana di 5 giorni ad un nuovo arrivo tra i volontari). Tipo il Bio Mediterraneo, Isole, mare e Zone aride. A parte 'sta maledizione dei cluster che non sono finiti (e quindi si intra-capisce il famigerato camufflage) perché erano assegnati all'Italia e quindi hanno avuto i problemi che sappiamo. Inoltre i prodotti per allestire gli stand sono ancora bloccati alle dogane. Ma la dogana gli altri Paesi non han dovuto passarla?
Invece vuoi mettere il centro del Decumano dove ci sono "i Grandi"? Lì non manca niente e ci sono le code per le visite.
Inoltre guarda caso i cluster a tema più azzeccato (la fame nel mondo, l'aridità, la biodiversità da tutelare) sono a casa di Dio, il cluster del cioccolato (che anche se non è dieteticamente corretto per l'umanità però attira clienti e consensi) è sul Decumano e non puoi non sbatterci il naso, pardon la lingua. Lì vedi subito che c'è la Lind ma dietro, che se non ti sforzi non lo vedi, il padiglione del cioccolato di Modica. Ma non era una occasione per valorizzare nel Mondo anche il prodotto italiano?

sembrano...ma non sono

ecco cosa sono!


Ecco invece lo strabiliante padiglione del Marocco. Enorme lo spazio, ben suddiviso con le zone climatiche della Nazione, bellissimi gli effetti multimediali. La stessa cosa si può dire anche per l'Egitto. Si vede la differenza tra Nazioni africane: chi può e chi non può. Zimbawe nel cluster, Marocco nel Decumano

Marocco

Marocco

Marocco

Marocco

Marocco

Marocco
Comunque potete bere un buon the marocchino nel chiosco subito all'uscita. Ve lo fa Gregorio che di marocchino non ha niente però è buono (glielo hanno detto anche i marocchini stessi)

sabato 9 maggio 2015

EXPO ISTRUZIONI PER L'USO 3: STATI UNITI

Il padiglione dell'America non smentisce quello che molti ancora pensano: americanate. Enorme, imponente, ma freddo nonostante una parete esterna tappezzata di pannelli con l'orto verticale. La verticalità delle verdure è molto presente all'Expo, ma mi stupisce che dopo meno di una settimana le verdure da cucina siano già svenute. (vedi foto n.5) Non son stata a leggere niente dentro: quando una cosa non mi prende o non sono costretta a memorizzarla per studio o lavoro passo oltre. 
Come vi dicevo l'accesso ai cancelli è molto semplice dal punto di vista della sicurezza: come in aeroporto ma con meno stress. Qualche sparuto militare italiano, appostato all'inizio e alla fine della famosa passerella, ma impegnato prevalentemente a commentare col collega l'avvenenza delle ragazze in transito. Dentro l'area espositiva niente senso di stato militare. Telecamere di sicurezza ogni venti passi, personale fintamente leggiadro nei padiglioni del Medio Oriente ma non te ne accorgi neppure. Qualche Carabiniere che transita con il loro tender. Sarà stato un caso in quel momento ma gli unici Carabinieri a passeggio in un posto preciso erano proprio agli Usa. Ma sarà un caso. Vi ripeto, sembra di essere alla sagra della trippa: massima libertà di respiro.

















AROMI ITALIANI

E adesso altri due esempi di verticalità

ISRAELE

venerdì 8 maggio 2015

EXPO ISTRUZIONI PER L'USO 2














 Allora avete il vostro bel bigliettino ma prima di arrivare ai cancelli dovete percorrere (almeno per l'ingresso Merlata) una strada che dovrebbe essere nel verde mediterraneo. Lo sarà sicuramente, tra un anno. Per il momento è una steppa immensa con palazzoni in lontananza. Dopo i cancelli fate un altro mezzo chilometro in un tunnel sopraelevato e finalmente entrate nel Cardo (mi spiace ma il nome non è associato alla coltivazione della verdura tipica delle nostre terre). Una delle prime cose che vedrete è lo stand - lo stand, questi sono padiglioni altro che stand- dell'Irpinia. 

L'Irpinia? Ora con tutto il bene che posso volere ai miei connazionali di quella zona, scusate ma mi è subito venuta una mezza malignità. L'Irpinia? Da sola? Si da sola. E che caspita c'è nello stand, pardon padiglione? Niente: un filmato. Speravo almeno nella presenza degli eredi De Mita e gente così a raccontare come fanno le talee di soldi. Insomma qualche brutta domanda me la sono fatta, visti i costi della partecipazione (e poi l'archistar, gli idraulici, gli elettricisti, ecc). Sono riuscita a mantenere la calma perchè erano solo le dieci di mattina.

Incrociate poi il famoso Decumano (vorrei sapere dove mettono l'accento tonico gli adolescenti). Lungo 1600 metri, ma molto largo, anche se pieno di gente non avete il senso di soffocamento. Potreste averlo tra due mesi (anche meno) perché è solo in parte coperto. (vedi la prima foto)

Con la vostra piantina in mano a questo punto decidete cosa visitare. Ma preparatevi alle code. Code praticamente ovunque. Ovviamente ci sono i padiglioni di Nazioni più gettonate perché sono già stati nominati dai media, come nel caso del Brasile dove vanno tutti per saltare sui tappeti, o perché c'è comunque la curiosità di vedere cosa han messo su quelli di una Nazione che non conosciamo.
 Ma se ad un certo punto volete prendervi un aperitivo fashion lì, tra Cardo e Decumano, c'è la mitica Terrazza Martini. Stai venti minuti a decidere consultando il menù e quando finalmente arriva il giovane cameriere con la cresta scopri che quello che hai scelto non lo fanno ANCORA. No l'analcolico (non ci credete eh che volevo l'analcolico?) non si può avere perché manca ancora lo spremitore o comunque quell'attrezzo per strizzare la frutta e la verdura. Ma è la Terrazza Martini vero? E non potevano farselo prestare dalle cugine Terrazze di Genova o dovenonso? Se lo sapevamo ne portavamo uno noi da casa!

 Questo è già un inizio dell'idea di affrettato che c'è in molti posti. Molti posti...quelli gestiti dall'Italia. Perché i padiglioni delle Nazioni, sono già a pieno regime, almeno questa è l'idea che ti fai. Mentre i giardini, le coperture, altre infrastrutture e soprattutto i cluster sono ancora da finire. E questa non è un'idea, ce l'hanno detto. I cluster sono i padiglioni a tema dove convergono più Nazioni perchè accomunate da quel tipo di coltivazione (es. il cacao, la frutta, i cereali, ecc) o di clima (il mare, il deserto, ecc). Ne riparleremo.
A proposito di coda: il padiglione Italia non l'ho visto perché non avevo voglia di passare mezza giornata in coda. Qui sotto: il Decumano visto dalla scala della Terrazza Martini. Scala che è sia antincendio che no, quindi in griglia metallica come le scale da norma, ma estremamente contrastante con l'idea di lusso che si è voluto ricreare sopra. A proposito: se andate lì autorizzate automaticamente ad usare la vostra immagine (e anche sonoro) in caso venissero fatte foto o riprese. Quindi se sperate di lanciarvi nel mondo della celluloide (esiste ancora? la celluloide, dico, non il mondo) sapete dove andare a prendere un alcoolico o un succo della nota ditta che c'è anche nel vostro bar.



EXPO ISTRUZIONI PER L'USO 1: NEPAL

Inizio la piccola raccolta di mie considerazioni sull'Expo con la fine. Cioè con quello che tutti voi volete sapere -come è il padiglione del Nepal -e quella visita che magari si lascia come ultima della giornata ma è una tappa d'obbligo. Questo stand forse non sarebbe stato così visitato se...
Perché non si può vedere tutto dell'Expo in un giorno solo e guarda caso questo è in fondo al decumano, seppur vicino al padiglione dell'ONU, e ambedue non sono certo meta ambita dai ragazzetti che mangiano da McDonald o di chi ha dall'Expo aspettative di puro divertimento.
Comincio dalla fine anche con le foto, cioè con la scatola dove la gente mette un'offerta prima di andare via. E' sistemata vicino all'ingresso, davanti ai due artigiani che dimostrano come si scolpiscono quelle meraviglie di colonne. Poi si sale un comodo dislivello e ci si trova in uno slargo. Laggiù sotto c'è la pagoda dove, non curanti dei visitatori, operai italiani continuano a lavorare.
Per fortuna abbastanza lontano dalla confusione e anche perché la gente in visita non schiamazza come fosse in un luogo sacro, si trova una atmosfera di musica rilassante e che fa pensare. Dignitosi ma con gli occhi tristi questi due omini, credo si sentano osservati come animali allo zoo.



martedì 28 aprile 2015

EXPO, TEMATICHE: Food 2.0

L'articolo di Gabriele Beccaria su La Stampa:
http://www.lastampa.it/2015/03/26/societa/expo2015/le-frontiere-del-cibo/i-nuovi-esploratori-del-cibo-scommettono-sul-potere-degli-alimenti-ricostruiti-IRdPd3MUGtNpUIMfxa1H5H/pagina.html

foto Eliott Erwitt- Magnum Photo
Una nuova avventura scientifica è iniziata. È la corsa per trovare cibo per tutti, mentre si fa strada una certezza: il menu in tavola sarà sempre più diverso da quello a cui siamo abituati. Il mito del cibo biologico e l’anti-mito del cibo-spazzatura sono destinati ad annullarsi. Le soluzioni stanno altrove. E sono complicate, spesso controverse, in molti casi ancora sperimentali. Nutrirci rappresenterà una sfida non meno immensa di quella per mitigare i cambiamenti climatici o gestire la società degli algoritmi e dei robot. 
Al vertice delle promesse e delle polemiche stanno i cibi Ogm, protagonisti di una battaglia che dura da un trentennio. Dal pomodoro super-saporito al riso con la vitamina B anti-cecità fino alla cassava resistente ai batteri, c’è un vasto menu già pronto, sia per i ricchi sia per i poveri del Pianeta. Ma resta nei frigoriferi dei laboratori.Dall’Europa all’Asia milioni di potenziali consumatori temono i cibi con il Dna modificato e li rifiutano. Tanto che gli Ogm sono stati retrocessi alla base della catena alimentare. Nutrono gli animali che diventano salsicce e bistecche. Tutti lo sanno, ma fanno finta di nulla. 
A infrangere pregiudizi e smontare paure non sono bastati gli appelli degli scienziati: senza gli Ogm - sostengono - la nostra sopravvivenza di specie potrebbe essere a rischio. E paragonano le piante e i cibi geneticamente modificati alla Rivoluzione Verde degli Anni 60.
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In effetti spesso si dimentica che il viaggio attraverso bocca e stomaco passa per il cervello. Vogliamo cibi migliori, ma coltiviamo passioni nostalgiche per i sapori perduti di nonni e bisnonni. E così i giganti dell’alimentazione e le start-up del cibo immaginano una serie di futuri possibili. 
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Addio brusche manipolazioni genetiche, quindi. Entra in scena la «decostruzione nutritiva». Succede nella Silicon Valley, dove nascono società come Impossibile Food, che lavora alla carne senza le mucche, e altre come Hampton Creek, che progetta la maionese «green» priva di uova, mentre Soylent si spinge al progetto estremo del beverone totale: pochi sorsi e si fa il pieno di calorie «pulite», senza rischi di colesterolo o intossicazioni. 
Lo chiamano «food 2.0» ed è immaginato per chi considera primordiale il rito quotidiano del mettersi a tavola. Ma non solo. I cibi decostruiti e ricostruiti potrebbero semplificare gli ipertrofici - e inquinanti - processi produttivi standard. Aumentando la produttività e diminuendo l’impatto sul Pianeta. Il tempo stringe e l’Onu lancia allarmi ripetuti. Il cibo potrebbe diventare la massima emergenza dell’umanità. E i programmi alla Masterchef trasformarsi in grottesche rappresentazioni di un mondo irrimediabilmente scomparso. 


domenica 26 aprile 2015

EXPO, TEMATICHE: Da Ovest verso Oriente, il  grande viaggio dei cibi nel mondo

Un articolo di Francesco Manacorda da La Stampa:
http://www.lastampa.it/2015/03/05/societa/expo2015/le-vie-del-cibo/da-ovest-verso-oriente-il-grande-viaggio-dei-cibi-nel-mondo-YBYEnVYVb0NbTLISCHVmSJ/pagina.html

foto Alex Majoli- Magnum Photos
La lista della spesa dell’ultimo anno è imponente, anche se non eccezionale rispetto a quelle del recente passato: comprende tra l’altro 310 milioni di tonnellate di carne varia, che per dare un’idea potrebbero trasformarsi in 3100 miliardi di hamburger da 100 grammi l’uno; poco meno di 800 milioni di tonnellate di latte, ossia circa 800 miliardi di confezioni da un litro proprio come quella che abbiamo tirato fuori stamattina dal frigorifero; e poi 500 milioni di tonnellate di riso, poco meno di 500 milioni di tonnellate di grano, 165 milioni di tonnellate di pesce, quasi 300 milioni di tonnellate dell’esotica - almeno per noi - cassava...  
Se tutti gli abitanti del mondo andassero a rifornirsi di cibo una sola volta l’anno, o se - proviamo a correre con l’immaginazione - Madre Terra entrasse in un assai ipotetico supermercato per mettere in dispensa quanto le serve per nutrire i suoi figli nei successivi dodici mesi, le quantità che avrebbe segnato sul foglietto attaccato a un immenso carrello sarebbero molto simili a quelle appena elencate. Quantità enormi, per l’appunto - le misura in dettaglio l’ultimo «Food Outlook» della Fao - che non significano evidentemente la garanzia di un’alimentazione sufficiente ed equilibrata per l’intera popolazione mondiale.  
I consumi nel mondo  
La media del pollo di Trilussa, quella tanto citata per la quale se tu hai mangiato un pollo e io nulla abbiamo mangiato mezzo pollo a testa, diventa ancora più realistica su scala globale. Se ad esempio nel mondo il consumo di carne varia è stato lo scorso anno di circa 43 chili a testa, basta dividere lo stesso mondo in due aree per avere risultati completamente diversi: 75,5 chili pro-capite consumati nei Paesi sviluppati, 33,8 chili in quelli in via di sviluppo. Al contrario, mentre il consumo pro-capite della cassava o manioca - il tubero che per molte popolazioni tropicali e subtropicali è la principale fonte di carboidrati - è di 21,6 chili l’anno, a livello mondiale, nella sola Africa subsahariana la media sfiora i 139 chili l’anno. Non a caso l’Expo 2015 parte anche dalla constatazione che nel biennio 2010-2012 sono circa 870 milioni le persone denutrite, mentre specie in Europa e in Nord America l’obesità sta diventando uno dei maggiori problemi di salute pubblica.  
Disegnare le vie del cibo che si intrecciano sul pianeta è un compito arduo. Più che ad autostrade intercontinentali, le rotte degli alimenti che approdano sulle tavole del mondo, somigliano a un fitto reticolo di vie e stradine: spesso a senso unico, ma talvolta anche con doppia direzione di marcia. La Germania, ad esempio, è il primo esportatore mondiale di latte e derivati, ma anche il secondo importatore nello stesso settore. In Asia, la Cina è un importatore netto di riso, ma i tre maggiori esportatori del mondo - India, Thailandia e Vietnam - stanno nelle vicinanze.  
Da Ovest verso Est  
Se una tendenza globale si può identificare, però, è quella che il vento delle esportazioni di alimenti nel mondo soffia prevalentemente da Ovest verso Est. Da una parte le immense praterie e le coltivazioni del Nord America e dell’America Latina, con una demografia abbastanza stabile e una crescita economica - quando si guarda a Sud del continente - debole o moderata, che non spinge quindi i consumi interni. Dall’altra parte dell’emisfero, pronta ad accogliere prelibatezze fino a ieri sconosciute o alimenti tradizionali che non si producono in quantità sufficiente per un continente che cresce impetuoso, ci sono l’Asia e il Medio Oriente.  
Solo dieci anni fa la Cina era un esportatore netto di cibo, adesso - con una classe media in rapidissima espansione e nonostante un rallentamento dell’economia - si è trasformata in importatore netto. Così Stati Uniti e Canada, ad esempio, sono rispettivamente il primo e il terzo esportatore di grano al mondo, mentre Egitto, Giappone e Indonesia rappresentano i tre maggiori importatori. È una tendenza, quella del viaggio del cibo da Ovest verso Est, che vede le sue eccezioni. Il primo esportatore di carne bovina al mondo è per l’appunto il Brasile, ma subito dopo ci sono l’India - con il suo bufalo - e l’Australia.  
Fuori dal radar, in molti sensi l’Africa, che oggi importa quasi il 90% del cibo che consuma e dove si concentrano i casi di denutrizione o malnutrizione. Dei 55 Paesi che la Fao inserisce nella categoria «Lifdc», ossia quelli a basso reddito e con un deficit alimentare, ben 37 - dal Benin allo Zimbabwe - sono in Africa. In Europa non ce n’è nessuno, nel continente americano solo tre.  
Prezzi in discesa  
L’altra grande tendenza che si può identificare nei flussi commerciali del cibo è quella di un ribasso dei prezzi che dura da quattro anni dopo una fase di forti rialzi. Nel 2007-2008, infatti si registrò una grande cavalcata dei prezzi alimentari, che si intrecciò con i primi effetti della crisi finanziaria. A essere colpiti dai rialzi di grano, farina, riso e semi di soia, all’epoca, non furono però le capitali della Borsa, ma i Paesi più poveri del globo, da Haiti al Senegal, dove scoppiarono le prime rivolte per il cibo. Poi un’altra ondata di rialzi nel 2010-2011, dovuta principalmente al raccolto di grano andato male tra Russia, Ucraina e Kazakistan. La decisione della Russia di chiudere le esportazioni di grano scatenò il panico sui mercati, mandò alle stelle le quotazioni e contribuì all’esplosione delle Primavere arabe con le proteste per il pane.  
Quei rialzi di prezzi hanno anche cambiato la geografia della produzione: Paesi forti economicamente, ma deficitari come produzione di cibo - in primo luogo gli Emirati del Golfo - scottati dall’esperienza, hanno avviato grandi acquisti di terre da coltivare in Africa. Evidenti i problemi sia per i contadini locali, sia per lo sfruttamento delle risorse. Nel 2014 invece, ha segnalato la Fao, il suo indice dei prezzi alimentari globali, è sceso per il quarto anno di fila, con un calo del 3,7% rispetto al 2013. Colpa, o merito - dipende se lo si guarda con gli occhi del produttore o con quelli del consumatore - di una serie di fattori: c’è lo sviluppo tecnologico, certamente, ma nell’ultimo anno l’influsso forte è venuto anche da condizioni climatiche che hanno consentito raccolti record. Nei silos degli Stati Uniti, dopo il maggior raccolto nella storia dell’onnipresente mais - viene usato per l’alimentazione umana ed animale, ma anche per produrre l’etanolo - ci sono adesso 258 milioni di tonnellate di riserve, il 7% in più di un anno prima; difficile che a breve il prezzo possa salire più di tanto. E poi, ovviamente, pesa anche il ciclo economico generale: se la Cina rallenta la sua crescita questo finisce immediatamente per ripercuotersi sui prezzi agricoli. Tra offerta sovrabbondante e domanda un po’ più debole del previsto nell’ultimo anno il prezzo del caffè, qualità Arabica, è sceso di oltre il 30%, quello del mais di più del 20%, così come quello del grano. Anche lo zucchero raffinato ha perso il 22% del suo prezzo mentre tra i pochi generi alimentari i cui prezzi salgono c’è la carne bovina, che costa circa il 7% in più di un anno fa: le nuove classi medie globalizzate di tutto il mondo affermano il loro status appena conquistato anche mettendo nel piatto una bistecca. 
Il futuro del cibo  
Basterà il sistema mondiale di produzione del cibo a sfamare il Pianeta quando tra pochi decenni - addirittura già a metà secolo - si prevede che la popolazione mondiale possa arrivare dai 7 miliardi attuali fino a 10 miliardi? I numeri e le proiezioni degli esperti dicono di sì. Ma sono solo numeri, per l’appunto. La tendenza del mercato è a una concentrazione delle esportazioni nelle mani di quelli che sono già i principali esportatori. Il riscaldamento globale impedirà alcune coltivazioni in zone che diventeranno troppo aride, ma potrebbe renderle possibili in zone che prima erano troppo fredde. Molto dipenderà anche da comportamenti difficilmente prevedibili: come si svilupperanno i movimenti verso le aree urbane e che effetti avranno sulle campagne? Quanto correrà la globalizzazione economica che si porta sempre dietro quella alimentare?  
Certo è che mentre i flussi commerciali si intensificano i problemi di distribuzione si moltiplicano. Distribuzione del cibo, prima di tutto, per tirare fuori larghe parti del mondo dalla sottoalimentazione; ma anche distribuzione del reddito, con la necessità che i piccoli agricoltori possano vendere i loro prodotti senza essere schiacciati dalle multinazionali. E distribuzione anche dell’offerta e della domanda: in quell’Africa che soffre la fame per moltissimi piccoli agricoltori l’accesso a un mercato più ampio di quello strettamente locale - se e quando avviene - è solo un caso.  

venerdì 24 aprile 2015

La missione di Padre Hermann

I PENSIERI E LE EMOZIONI DI BARBARA TESTA AL RITORNO DALLA MISSIONE IN RWANDA

Se partire è un po’ come morire, tornare allora è un po’ come rinascere. E io sono rinata, tornando a Saint Kizito. Dopo cinque anni di lontananza, ho rivisto visi e sguardi conosciuti, ho avvicinato persone nuove, riconosciuto bambini che ormai sono ragazzi. La vita qui è continuata, ci sono stati molti miglioramenti, cambiamenti, ma non sono mutati i sorrisi, la voglia di vivere di questi bambini e giovani ospitati nella missione di padre Hermann. Alcuni di loro hanno preso la propria strada, sono diventati adulti e ora vivono lontani, altri hanno deciso di rimanere lavorando nella scuola, molti sono appena arrivati. Hanno storie diverse, fatte di povertà e lutti, ma qui hanno trovato un’oasi di pace e serenità, fatta di ritmi e quotidianità, di studio e impegno costante, con la consapevolezza che solo con la determinazione si riusciranno ad ottenere buoni risultati. Una parola mi ha accompagnata in questa avventura, la sesta per me, ed è stata “fiducia”.
Ho sempre avuto fiducia in queste persone, nelle loro potenzialità. E oggi ne ho più che mai. La scuola superiore vicino alla missione è diventata, in sei anni, la migliore del Rwanda. Sforna studenti modello che vengono accolti molto bene nell’università di Kigali, la capitale. Ho fiducia e credo nelle potenzialità di tutti coloro che ho incontrato. Penso che con il giusto aiuto, creando una strada che possano percorrere, questi ragazzi potranno avere un futuro migliore, e potranno a loro volta aiutare altre persone. Come le maglie di una catena, che si intrecciano e diventano più forti insieme, anche loro, i ragazzi di Saint Kizito, potranno diventare forti unendosi. Ma la fiducia ce l’ho anche nei confronti delle persone che vivono fuori dalla missione. Anche loro stanno “crescendo”, stanno diventando sempre più autonomi. Più biciclette in giro, più capre, più mucche, vogliono dire che piano piano le persone hanno più soldi da parte per vivere. Hanno ancora bisogno di un aiuto, certo, che però non deve essere semplicemente “assistenziale”, non deve cioè dare un sostegno fine a se stesso. L’aiuto deve permettere a queste persone di diventare indipendenti.
E poi ho fiducia nelle persone che aiutano dall’Italia. Con il loro incoraggiamento, con la loro vicinanza, la nostra associazione riuscirà a fare tanto, con la consapevolezza che il mare sia fatto di tante piccole gocce. Dal Rwanda sono tornata rinvigorita, come mi succede sempre. Cercherò di trasmettere la positività che mi porto dentro, a più persone possibili. Perché la fiducia e la speranza di un domani migliore non deve abbandonarci mai.


Barbara