lunedì 30 novembre 2009

STRUFFOLI di donna Emma Donnarumma


Impastare 500 grammi di farina con 3 uova, 2 cucchiai di zucchero, 25 grammi di sugna o burro, la buccia grattugiata di mezzo limone, la buccia grattugiata di un’arancia, un cucchiaio abbondante di brandy o alcool puro. Lavorare la pasta a lungo, poi farla riposare per 30 minuti. Ricavare dalla pasta dei filoncini piuttosto sottili e tagliarli a pezzetti di mezzo centimetro. Friggerli, pochi per volta, in abbondante olio bollente, scolarli e metterli su carta assorbente. Intanto mettere in una pentola 250 grammi di miele, 100 grammi di zucchero, un cucchiaio di acqua, bucce di arance, limoni e mandarini. Portare ad ebollizione e far cuocere a fuoco medio per qualche minuto. Versare gli struffoli nella pentola, girarli più volte, finchè non assorbono il miele. Unire frutta candita a piacere (cocozzata, cedro, scorzette di arancia candita) tagliata a pezzettini. Togliere la pentola dal fuoco e versare gli struffoli in un piatto inumidito con acqua e con le mani bagnate dare loro una forma a ciambella. Cospargere di confettini colorati (diavolilli).

STRUFFOLI PIU' MORBIDI
500 grammi di farina, 4 uova, 50 grammi di burro, 5 cucchiai di zucchero, mezza bustina di lievito pan degli angeli, limone e arancia grattugiata, alcool puro o strega o goccia d’oro. Procedere come nella ricetta precedente.

domenica 29 novembre 2009

MIGLIORARE L'ALIMENTAZIONE IN "TOT" LEZIONI- TERZA LEZIONE

NON SI INGRASSA DA NATALE A CAPODANNO MA DA CAPODANNO A NATALE!
Ecco ci siamo quasi: tra poco scatta la gara a chi ingurgita la maggior quantità di calorie inutili nel minor tempo possibile. Quindi, già temendo di non essere in grado di resistere ala partecipazione alla terribile gara, si cominciano a fare strategie pre-abbuffata. Il PRIMO ERRORE è quello di dare per scontato che nel periodo natalizio si debba mangiare di più a tutti i costi. Vi ricordo che nulla vieta a chi si nutre normalmente di mangiare un pò di più in un giorno di festa. Ma quanti sono 'sti giorni di festa?? Calendario alla mano: Natale, Santo Stefano, l'ultimo dell'anno, Capodanno, la Befana più (quest'anno) domenica 27 e domenica 3 gennaio. SETTE GIORNI! Gli altri sono normali. Affronteremo più avanti quei giorni. Ora pensiamo a questi 25 giorni che restano prima dellle Feste. Il SECONDO ERRORE è quello di mettersi a digiunare già da ora, arrivando al 25 (ma magari già al17) con una fame terrificante, non solo per necessità fisiologica, ma per stress da continuo pensare che sono la tipica espressione del "pensare da grasso".
Quindi: da domani AUMENTARE il consumo di frutta e verdura
                                   DIMINUIRE SOLO UN PO' il consumo di pasta e pane
                                  ELIMINARE il più possibile i dolci e gli alcoolici (a meno che non siate invitati a compleanni o feste in cui non ci si può esimere dal festeggiare una persona con una fetta di torta e un bicchier di vino)
A tra pochi giorni. FATE I COMPITI!
(immagine: fotosearch.it)

sabato 28 novembre 2009

PANDOLCE GENOVESE - 2

Ingredienti: 1 kg farina, mezzo bicchiere vino bianco amabile, 250 gr burro, 50 gr acqua di fiori d'arancio, 250 gr zucchero, 50 gr finocchio, 100 gr pinoli, 500 gr uvetta, 50 gr cedro candito, 50 gr lievito di birra, qualche cucchiaio di latte. Preparazione: porre la farina a fontana, versarvi al centro il lievito stemperandolo con le mani in qualche cucchiaiata di latte tiepido. aggiungere il burro sciolto, l'acqua di fior d'arancio, il vino vianco, lo zucchero. impastate a lungo indi incorporare il finocchio, i pinoli, l'uvetta e il cedro candito a dadini. Dargli la forma di mezza sfera; porlo in una teglia imburrata, coprirlo con un tovagliolo e lasciarlo lievitare per due ore. Praticare sulla sommità tre tagli in modo da formare un triangolo e cuocere in forno caldo per circa un'ora. Il pandolce si porta in tavola il giorno di Natale con in mezzo un rametto di alloro. Il taglio del dolce spetta al componente più anziano della famiglia e la prima fetta viene donata al più giovane.
(foto da: ilnostroricettario.blogspot.com)

Ecco ora il link all'esecuzione dal vivo di Poldo famosissimo pasticcere genovese:

giovedì 26 novembre 2009

PANDOLCE GENOVESE - 1


Per chi volesse cimentarsi nel dolce tradizionale genovese ecco la ricetta più lunga ed impegnativa, anche per gli spazi, tratta dalla "Cuciniera del Rossi" di metà 1800. Se volete, come era d'uso, prepararlo anche come regalo consiglio di fare almeno una prova prima di cimentarsi con quello definitivo. Si tratta infatti di una ricetta che è spesso "ribelle" per le mani meno esperte: unavolta brucia fuori e resta mezzo crudo dentro, un'altra volta gli ingredienti si ammucchiano da una parte, altre volte resta troppo asciutto e via dicendo.
Ecco allora la versione di un secolo fa: <Prendete due chilogrammi di buona farina di frumento, ponetela sulla madia in un mucchio, formatevi un buco in mezzo e versatevi un bicchier d'acqua in cui avrete fatto sciogliere 150 gr di lievito; impastate la parte liquida con porzione della farina fino a che avrete formata una pasta assai dura; coprite questa col rimanente della farina, ponetevi sopra un foglio di carta e addosso a questo una coperta di lana e lasciate così in riposo la pasta per circa 8 ore. Dopo ciò scopritela, impastatela col rimanente della farina mercè un altro poco d'acqua tiepida ed unitevi in pari tempo 150 gr di zucchero in polvere, 3 ettogrammi di burro liquefatto, un bicchierino di vino di marsala e una cucchiaiata d'acqua di fior d'arancio, mescolando e manipolando assai bene il tutto: finalmente aggiungetevi 50 gr di uva passola bianca di Smirne, 30 gr di pistacchi mondati, 40 gr di pinoli e 10 gr di anici e seguitate ad impastare finchè abbiate ottenuto una pasta soffice e uniforme. Allora formatene un pane che fascerete all'intorno con una salvietta a guisa di turbante affinchè la pasta non si schiacci troppo e lasciate lievitare per altre 12 ore, avvertendo che se facesse molto freddo sarebbe necessario mettere la pasta in una stanza alquanto calda. Finalmente liberate il pane dalla salvietta e fatelo cuocere al forno.>
Come vedete questa ricetta è persino folkloristica al giorno d'oggi ma per gli appassionati di cucina tradizionale è sicuramente un esercizio di stile da provare. Vi garantisco che a Genova ancora oggi qualcuno il pandolce lo fa così, col vantaggio di avere case ben più calde di un tempo ma con lo svantaggio di dover trovare il posto per la lievitazione (il marito di una mia amica anni fa aveva rovinato tutto sedendosi sulla sua poltrona preferita, senza essere stato avvertito in tempo).
Vi prometto la versione moderna al più presto.
(foto pandolce: ciao.it)

mercoledì 25 novembre 2009

INSALATA DI CAVOLFIORE


Pulire il cavolfiore, eliminando le foglie e il gambo, lasciandolo però intero se piccolo o tagliato a metà se grande. Porlo in una casseruola con due dita d'acqua e un pò di sale; cuocere coperto in modo che sia come cotto a vapore, eventualmente aggiungere l'acqua se si asciuga. Toglierlo dalla casseruola quando è cotto ma ancora consistente e delicatamente dividere le cimette lasciandole però integre il più possibile, eventualmente tagliandole a metà se troppo grosse. In una ciotola condire il cavolfiore, appena è tiepido, con una citronnette arricchita con pasta di acciughe (oppure: sale, olio, limone e filetti di acciuga spezzettati), olive nere (ma anche verdi vanno bene) e se non siete a dieta stretta un cucchiaio di salsa tonnata. Servire a temperatura ambiente. Se lo volete conservare, non conditelo subito tutto, meglio farlo al momento.
(immagine: buttalapasta.it)

ANCORA SULLA PAUSA PRANZO IDEALE - Silvia Salomoni intervista Martino Ragusa


Martino è psichiatra, per questo abbiamo parlato con lui della pausa pranzo, un momento cruciale nella giornata di tutti i lavoratori, sia dal punto di vista nutrizionale, che psicologico e relazionale.
Martino: La pausa pranzo, a parte l'aspetto nutrizionale, ha un importante valore psicologico. Per questo dovrebbe somigliare il più possibile a un "ritorno a casa", essere cioè uno stacco reale, sia fisico che mentale utile a ricaricare le energie. Va da sé che, specialmente nella stagione fredda, dovrebbe essere un piatto caldo consumato seduti e lentamente. Un pasto simile è qualcosa che "ricrea" proprio nel senso etimologico del "creare di nuovo", preparando al pomeriggio con più vitalità.
S: Però il tempo è sempre centellinato, cosa si può fare?
M: Sono un sostenitore dei 20/30 minuti di ri-creazione in più oltre al tempo strettamente necessario a quello dedicato al pasto. Un tempo supplementare di distacco dal lavoro che va oltre a quello necessario per mangiare, da riservare a sé stessi prima o dopo il pasto. Sarei disposto ad arrivare 20 minuti prima, o a tornare a casa 20 minuti dopo, pur di poter godere di questo tempo dedicato a sé, utile a ricaricare le batterie in vista del pomeriggio. Tempo per fare cosa? Anche la pennichella, se è questo ciò di cui si ha bisogno. Oppure leggere qualche pagina di un libro in santa pace, o il giornale, ascoltare un po' di musica, fare una corsetta o un po' di cyclette, conversare con i colleghi o fare una telefonata privata in pace, anche recitare il rosario se uno è credente... Insomma, un tempo libero che incoraggi la fuga dal ruolo, che ricostruisca in miniatura l'effetto di distacco e di ricarica che dà la vacanza o il weekend, e che quindi faccia tornare al lavoro con anche un pizzico di desiderio.
S: Pensi che sia possibile?
M: E' una sfida da lanciare alle gradi aziende, che potrebbero prevedere degli spazi comuni diversi da quelli del lavoro e del pranzo. Dove ci siano delle poltrone comode per il risposo, oppure degli attrezzi sportivi, a seconda delle esigenze. Come a recuperare l'idea della ricreazione scolastica: è vero che i bambini sfruttano quel tempo per fare merenda, ma non è un caso che poi giochino, così come gli adolescenti flirtano, o tirano quattro calci a un pallone...
S: Questo avrebbe un influsso positivo anche sulla produttività, giusto?
M: Certamente, perché ci libererebbe dall'idea mitica del lavoro come punizione inflitta ad Adamo, verso la sponda più gratificante di un uomo felicemente faber, attivo e costruttore. Non si può applicare a un'entità complessa fatta di psiche e corpo come l'uomo il principio "sacco vuoto non sta in piedi"... Non siamo solo contenitori da riempire!
Vediamo ora qualche dato e qualche consiglio sulla pausa pranzo in Italia, oggi.
Il simbolo della pausa pranzo è ancora il panino? A giudicare dai 500 milioni di panini consumati ogni anno nei bar italiani sembrerebbe di sì... Eppure cresce la consapevolezza che un'alimentazione varia e appropriata sul lavoro sia il presupposto per fare di più e meglio. A prescindere dal grado di fatica e dal tipo di sforzi che richiede la propria occupazione, la regola che vale per tutti è la necessità di staccare la spina. Mangiare in ufficio davanti al computer (il cosiddetto "desk eating"), in spazi improvvisati ricavati nei cantieri, o ancora peggio in piedi nei paraggi della propria postazione è sempre sconsigliabile. Il pasto corretto richiede almeno 30 minuti, meglio se in un luogo dedicato che lo renda anche un momento di socializzazione e di riposo. La fretta e lo stress sono nemici del metabolismo e della produttività. Mangiare troppo velocemente, in preda all'ansia, o in piedi, ostacola la digestione e dà un senso di sazietà precario destinato a innescare reazioni a catena di spuntini e snack durante tutto il pomeriggio, poco raccomandabili per linea e salute.
Vediamo alcuni accorgimenti più o meno ovvi per sopravvivere nei giorni feriali: intanto è opportuno non saltare la colazione, piuttosto è meglio svegliarsi un po' prima, o portarla con sé sul lavoro. Il rischio altrimenti è arrivare all'una con i crampi allo stomaco, emicrania, spossatezza... Se non si è ceduto prima allo spuntino di metà mattina. Questo, comunque, non è da incriminare in toto: un caffè può essere utile a infondere un po' di energia, ma non deve diventare il primo di una serie infinita. Meglio optare per un frutto, tenendosi a debita distanza dai distributori automatici gremiti di "junk food". Stesso ragionamento vale per la merenda pomeridiana: cioccolatini e caramelle sulla scrivania sono tentazioni pericolose. Più innocui ad esempio uno yogurt, dei biscotti secchi o delle gallette di riso. Ma passiamo al pranzo vero e proprio: il fabbisogno di calorie che un adulto deve introdurre con il pranzo è tra le 600 e le 800 (cioè il 30/40% del fabbisogno giornaliero). Le chances a disposizione per la pausa pranzo sono varie: chi non riesce a tornare a casa (la maggioranza dei lavoratori italiani) si ferma al bar, al ristorante (magari convenzionato), in mensa, al self service, o nei chioschi lungo la strada. Alternare i luoghi e le modalità sarebbe positivo, ma spesso non è possibile.
Tra le soluzioni possibili abbiamo scoperto anche un servizio di catering di alto livello che a Milano consegna dei menu completi e molto articolati direttamente negli uffici, via pony express, prenotando e ordinando tutto quanto su internet. Sul cosa ordinare bisognerebbe sempre tenere presente che i pasti ipercalorici appesantiscono senza placare del tutto il senso di fame. Dove possibile, optare per un piatto piuttosto che un panino, ma facendo attenzione ai condimenti. Le scelte più raccomandabili sono una pasta al pomodoro e basilico, o un secondo di pesce o carne cotti ai ferri, al vapore, con un filo di olio di oliva. Nemmeno le famose insalatone sono del tutto innocue: sì alle verdure fresche crude o cotte, ma no ai mix esplosivi di ingredienti tra loro diversissimi (vedi wurstel, tonno, mozzarella, uovo sodo, prosciutto, formaggio...). Se panino deve essere, che almeno non sia unto, o troppo grasso.
È sufficiente evitare salse come maionese, senape o ketchup, preferendo pane comune o integrale ai sandwich burrosi. Inutile dire che a fare la differenza è la farcitura, sceglietela leggera: prosciutto crudo magro, bresaola, o arrosto di tacchino sono meglio di salami e altri insaccati più grassi, o cotolette. In ogni caso, è sempre bene accompagnare il panino, il primo, o il secondo caldo con delle verdure (in insalata, grigliate, o bollite) e/o della frutta, alimenti che apportano fibre, vitamine e minerali.
(articolo da: http://www.ilgiornaledelcibo.it/; immagine dal web )

lunedì 23 novembre 2009

La pausa pranzo, "Un rito che blocca tutta l'Italia" di GIOVANNI GAGLIARDI


per www.Repubblica.it (23 novembre 2009).
Secondo Rotondi, ministro per l'Attuazione del programma di governo si auspica un cambio di abitudini: "Un quarto dei tedeschi mangia lavorando. In Inghilterra molti rinunciano o la riducono. Bonanni (Cisl): "Dia l'esempio, non vada alla buvette e i lavoratori lo seguiranno"

ROMA - "La pausa pranzo è un danno per il lavoro, ma anche per l'armonia della giornata. Non mi è mai piaciuta questa ritualità che blocca tutta l'Italia". Ne è convinto Gianfranco Rotondi, ministro per l'Attuazione del programma di governo ospite del programma tv web 'KlausCondicio'.
"Non possiamo imporre ai lavoratori quando mangiare - afferma il ministro - ma ho scoperto che le ore più produttive sono proprio quelle in cui ci si accinge a pranzare. Chiunque svolga un'attività in modo autonomo, abolirebbe la pausa pranzo. Casomai sarebbe meglio distribuirla in modo diverso, come avviene negli altri Paesi". "In Germania, ad esempio, per incentivare la produttività - nota Rotondi - la pausa pranzo in alcuni posti di lavoro dura mezz'ora, mentre si estende a 45 minuti per chi lavora oltre le 9 ore. Tuttavia, secondo un recente sondaggio, un quarto dei tedeschi trascorre la propria pausa pranzo lavorando. Anche in Inghilterra molti dipendenti vi rinunciano o la riducono, sia nei minuti che nel numero di pause nel corso dell'intera settimana". "Negli ultimi due anni - ha concluso il ministro - si è scesi da una media di 3,5 pause a settimana del 2006 a 3,3 nel 2008. Addirittura meno di 3 per le donne. In Francia lo statuto dei lavoratori riconosce 20 minuti ogni 6 ore, mentre in America la pausa pranzo non è proprio prevista dalla legge federale ed è regolamentata autonomamente dai singoli Stati, mentre in Canada e Svezia si pranza davanti alla scrivania". La precisazione. Più tardi il ministro, con una nota, chiarisce il suo pensiero: "Non ho fatto nessuna proposta di abolire la pausa pranzo, ho solo detto a un giornalista che io l'ho abolita da vent'anni e lo stesso consiglio alla Camera dei Deputati, perché quella è l'ora in cui si lavora meglio. Si capisce che i lavoratori devono avere le loro pause e devono mangiare, magari sarebbe utile che ognuno si gestisse questa pausa come crede, ma è chiaro che è impossibile". La replica. Pronto il commento del segretario della Cisl Raffaele Bonanni: "La pausa pranzo dove, nei cantieri edili? Nei campi? I lavoratori quando pranzano, lo fanno in maniera molto frugale, quasi sempre un panino o qualcosa del genere. Se Rotondi vuole dare il buon esempio, lo dico con simpatia, non vada più alla buvette e i lavoratori italiani ne seguiranno l'esempio", ha detto Bonanni ai microfoni di Cnrmedia. "Il paragone con gli altri Paesi è fuorviante - ha continuato Bonanni - qui in Italia non ci sono le mense. Non ci sono a scuola, non ci sono nel pubblico impiego. E dove ci sono hanno un massimo di 800 calorie, quindi decisamente leggere. Infine, io negli Stati Uniti ci sono stato più volte e ho sempre visto i lavoratori usufruire della pausa pranzo". La contro-replica. "Non vado alla Buvette, non pranzo da anni ma non mi sogno di entrare in conflitto coi legittimi diritti dei lavoratori - ha risposto il ministro -. Certo, se fosse possibile rinunciare alla pausa pranzo e uscire un'ora prima se ne avvantaggerebbero la produttività e la famiglia del lavoratore". Successivamente è intervenuto anche il segretario della Uil Luigi Angeletti: "Ovviamente mi sembra una cosa molto curiosa si vede che non ha esperienza diretta di un lavoro di otto ore di seguito in azienda, fabbrica o ufficio dove le persone non possono gestirsi tempo o lavoro. In certe condizioni dire ognuno fa come gli pare è una battuta, semplicemente perché non si puo fare. La pausa - ha spiegato il sindacalista - è necessaria per motivi fisiologici e biologici. Dove si lavora a turno si fa la pausa a fine orario, consentendo a chi lavora di uscire prima o entrare dopo. In altri casi ci sono pause durante l'orario di lavoro. E' bene lasciare fare alle persone interessate nei limiti permessi dall'organizzazione del lavoro". "Mangiare sul luogo di lavoro è una necessità non una scelta - ha continuato Angeletti - Sono pochi gli italiani che possono permettersi di mangiare a casa. I più fortunati hanno la mensa quindi mangiano sul luogo di lavoro, ma milioni di persone non hanno la mensa, e non per scelta, quindi sono costretti a mangiare un panino usando i ticket. Ci sono 17 milioni di persone - ha concluso Angeletti - sono lavoratori dipendenti e non possono organizzarsi a loro piacimento. Bisogna esserci passati per saperlo".

GNOCCHI ALLA TREVISANA E GORGONZOLA


Mentre va ad ebollizione l'acqua per gli gnocchi, metere in una padella un pò d'olio e un pò di burro (poco) e farvi appassire leggermente il radicchio trevisano tagliato a listerelle sottili. Dopo due minuti, dovrebbero più che bastare, spegnere il fuoco e mettere nella padella del gorgonzola tagliato a pezzi e coprire col coperchio in modo che si sciolga senza cuocere. A questo punto saranno pronti gli gnocchi che leverete dalla pentola con un mestolo forato e metterete immediatamente nella padella. Mescolate velocemente, anche senza scaldare se il sughetto è ancora tiepido, e servite subito.
(immagine: ricetteincucina.net)

venerdì 20 novembre 2009

SCIENZA IN CUCINA: MONTARE LA PANNA


Voi direte: e che ci vuole? Qui troverete le spiegazioni scientifiche ad un gesto in apparenza semplice.
Nella panna il grasso è sotto forma di globuli: “sferette” di diametro di qualche millesimo di millimetro. Ogni globulo è circondato da una membrana di proteine, fosfolipidi, trigliceridi e colesterolo. La membrana ha il duplice scopo di mantenere il grasso in soluzione, attraverso le proprietà emulsionanti dei fosfolipidi, e di proteggere la degradazione dei grassi dagli enzimi. Iniziando a montare la panna, la frusta incorpora nel liquido delle bolle d’aria. L’agitazione causa la coalescenza parziale dei globuli di grasso. Le bolle d’aria vengono stabilizzate dai globuli di grasso aggregati che si pongono all’interfaccia tra l’aria e l’acqua. Continuando a montare le bolle d’aria si rompono e diventano più piccole, e cominciano ad associarsi tra loro sempre per effetto dei globuli di grasso, iniziando a dare rigidità alla struttura. Proseguendo la montatura tutte le bollicine d’aria ricoperte di grasso si uniscono formando una struttura semi rigida. E’ cruciale che il grasso rimanga parzialmente cristallizzato per evitare la coalescenza totale dei globuli in un unico ammasso, e quindi è necessario operare a bassa temperatura. Nel Disegno: bolle d’aria stabilizzate dai globuli di grasso si aggregano e formano una struttura tridimensionale. Le “bacchette” rosse rappresentano i cristalli di grasso. Il giallo il grasso libero allo stato liquido. Se la montatura procede troppo a lungo il grasso si aggrega in particelle troppo grandi e si separa il burro. Il parametro più importante per montare la panna è sicuramente la temperatura: la panna va montata fredda, possibilmente tra i 2 °C e i 6 °C. I frigoriferi domestici solitamente sono tarati per mantenere una temperatura, nei ripiani più freddi, di 4 °C, quindi abbiate cura di tenere la panna in frigorifero prima di montarla. Questo vale ovviamente anche se usate la panna a lunga conservazione UHT che non viene normalmente conservata in frigorifero. Il freddo è necessario perché, come abbiamo visto prima, i globuli di grasso devono unirsi, allo stato parzialmente solido, per poter circondare le bolle di aria. La panna non va assolutamente congelata, perché questo danneggia irreparabilmente la membrana dei globuli di grasso, compromettendo la montabilità.
Non aggiungete acidi (come succo di limone): non state montando gli albumi! (E’ vero che una leggerissima acidificazione può aiutare a montare, ma il rischio di alterare il sapore aggiungendo troppo acido è elevato, e la panna monta benissimo anche senza acidi)
La caratteristica della panna che più influenza la sua montabilità è sicuramente la percentuale di grassi contenuti. Più è alta questa percentuale e minore è il tempo necessario per montarla. La panna contenente il 25% di grassi richiede 9 minuti di battitura, mentre solo un minuto e mezzo basta per montare della panna al 42% di grassi.
La consistenza finale della panna montata procede di pari passo con la percentuale di grassi: più è alta e più la schiuma finale è ben ferma e stabile. Diminuendo i grassi diminuisce anche la stabilità del prodotto finale, che tende dopo un certo tempo a perdere liquidi e a sgonfiarsi.
Il volume di aria incorporato invece non si comporta linearmente: aumenta con la percentuale di grassi, ma solo sino ad un certo punto. Oltre il 33% di grassi (circa) il volume di aria incorporata diminuisce drasticamente. Gli autori dello studio sostengono che per ottenere un volume massimo la percentuale di grasso dovrebbe essere tra il 30% e il 34%.
In generale più alta è la temperatura raggiunta dalla panna durante il trattamento termico e meno velocemente monta. Quindi la panna pastorizzata, trattata a 74 °C per 18 secondi, monta più lentamente di quella cruda, ma più velocemente della panna UHT che è trattata per pochissimi secondi a circa 150 °C.
La panna UHT deve durare sugli scaffali a lungo e per evitare un affioramento del grasso deve subire un processo di omogeneizzazione drastico a pressioni elevate. Questo è causa di una minore montabilità della panna UHT, a causa di una parziale denaturazione delle proteine del latte che aiutano la fase iniziale della montatura e al fatto che se i globuli di grasso diventano troppo piccoli non ci sono abbastanza proteine e fosfolipidi per circondare il grasso. Per ovviare a questo problema alcuni produttori aggiungono degli additivi (niente di velenoso, non preoccupatevi, a volte sono semplicemente proteine del latte) per aumentare la montabilità
Ricapitolando quanto abbiamo detto: per montare la panna perfettamente
•la temperatura deve essere tra 2 °C e 6 °C
•la percentuale di grasso tra il 30% e il 34%
•meglio usare panna fresca (pastorizzata se possibile in modo blando). Non c’è motivo di usare la panna UHT a meno che quella fresca non sia proprio disponibile.
•usate panna appena prodotta, preferibilmente con solo un giorno di maturazione (ma questo è possibile solo per chi vive in campagna con le mucche).

MIGLIORARE L'ALIMENTAZIONE IN "TOT" LEZIONI- SECONDA LEZIONE



Il compito dei prossimi giorni per voi sarà quello di fermarvi a pensare ogni volta che sentite il bisogno di mangiare. Basta farsi questa semplice domanda: ho VERAMENTE fame, perchè sono parecchie ore che non mangio, oppure HO VOGLIA di mangiare qualcosa anche se è trascorso poco tempo dall'ultimo pasto decente?
Ricordate che il bisogno FISIOLOGICO  di cibo dovrebbe sempre essere assecondato, mentre LA VOGLIA porta ad un consumo superfluo, per quanto gratificante. Quest'ultima può essere sostituita con azioni di tipo diverso rispetto al mangiare: uscire con amici, guardare un bel film, fare attività fisica, fare lavoretti piacevoli in casa o giardino...

martedì 17 novembre 2009

DOLCE STEVIA CONTRO L'ASPARTAME (estratto di un articolo di Sepp Hasslberger)

Nel 1965 il chimico James Schlatter, lavorando per la G.D. Searle, nel tentativo di formulare un farmaco contro le ulcere allo stomaco combinò due aminoacidi: l'acido aspartico e la fenilalanina. Si accorse che il miscuglio era dolce e, sebbene non era questa l'intenzione, aveva scoperto una sostanza dal potenziale miliardario. Da allora fino al 1983, l'FDA si oppose alla messa in commercio di questo dolcificante che oggi si conosce col nome 'aspartame'. Pressioni politiche messe in moto da Donald Rumsfeld, già presidente della Searle trasferitosi a Washington durante la presidenza di Reagan, misero a tacere gli scienziati che avevano espresso dubbi e così nacque un business miliardario.
Oggi l'aspartame si trova in migliaia di prodotti dalle marmellate per diabetici alle bibite 'light', cioè con poco zucchero, dai biscotti senza zucchero alla polverina che aggiungiamo al caffè. Problemi che gli scienziati dell'FDA avevano notato, già emersi negli studi clinici, erano attacchi epilettici, cancro al cervello e morte degli animali. Nei primi anni di uso dell'aspartame le lamentele per gli effetti collaterali dell'aspartame erano tantissime. L'FDA, invece di togliere il prodotto dal mercato, smise di accettare le segnalazioni e negò in modo categorico che l'aspartame potesse avere qualsiasi effetto dannoso.
In Europa, l'approvazione per l'uso dell'aspartame era abbastanza facile. L'FDA è come il fratello maggiore per le nostre autorità sanitarie. Con studi truccati e con l'aiuto di pagamenti a qualche scienziato compiacente, l'Inghilterra l'approvò per prima. Quando la Monsanto, che aveva comprato la G.D. Searle, disse che il dolcificante era già approvato negli USA e nell'Inghilterra, gli altri paesi, incluso l'Italia, non ebbero scelta. Approvarono l'uso del dolcificante. Si ebbe così un'epidemia di problemi psichiatrici, un'aumento delle malattie cardiache, un vero boom del diabete e dell'obesità.
Nell'anno 2000 si portò la problematica dell'aspartame all'attenzione dell'allora ministro della Sanità Veronesi. La risposta faceva riferimento all'approvazione dell'aspartame da parte della Comunità europea, la quale si riferiva all'FDA e agli studi finanziati dai produttori. L'aspartame è tuttora in commercio.
La stevia rebaudiana, pianta nativa delle foreste amazzoniche è conosciuta per le sue foglie dolci. E pare che, nonostante il suo gusto zuccherino, non disturbi il metabolismo dei zuccheri di chi la consuma. Il suo estratto è fino a 300 volte più dolce dello zucchero. Ne basta pochissimo per dolcificare il caffè o il tè.
Ai tempi dell'approvazione dell'aspartame, la stevia era un concorrente scomodo e bisognava eliminarla. Negli USA, la Food and Drug Administration, da sempre favorevole alle grandi industrie, vietava l'uso della stevia come dolcificante. L'estratto rimaneva disponibile come supplement (integratore alimentare) ma il suo uso fu effettivamente limitato perché non poteva essere venduto come dolcificante.
In Europa, non era facile far vietare la stevia, ma con grande ingenuità, si trovò il metodo per farlo. Si seminarono "dubbi scientifici" sulla sicurezza della stevia nei comitati scientifici europei e nazionali e presto alcuni paesi vietarono il suo uso. L'Italia lo fece nel 1985 (due anni dopo l'approvazione dell'aspartame in USA) con una circolare a firma del ministro della Sanità Degan. L'ordine ministeriale vietava la vendita "di edulcoranti costituiti od estratti dalla pianta aromatica stevia rebaudiana" e ordinava il sequestro "dei prodotti rinvenibili in fase di commercio".
L'Europa però è grande e andare paese per paese a far vietare una sostanza scomoda era un'impresa faticosa, perfino per un gigante come la Monsanto. Bisognava trovare un'altro metodo.
Sempre nel 1985 ebbe inizio il maggiore scandalo alimentare di tutti i tempi in Europa, quello della malattia della mucca pazza. Lo scandalo coinvolse la Commissione europea, accusata di non aver agito in tempo per fermare la nuova peste delle mucche. In seguito, tutta la Commissione fu costretta a dare le dimissioni e, per "non ripetere mai più" questa esperienza, l'Europa cominciò a emettere nuove leggi restrittivissime.
Una delle nuove leggi necessarie per impedire che uno scandalo simile si ripetesse era una legge per vietare la commercializzazione di qualsiasi alimento che non poteva già vantare una lunga tradizione di vendita in Europa. Altre leggi restrittive che seguirono erano la direttiva sugli integratori alimentari e la direttiva sull'uso delle erbe curative. L'effetto di queste leggi era di fermare qualsiasi innovazione nel campo dell'alimentazione e della salute. L'approvazione di un nuovo alimento, di un ingrediente da usare negli integratori o di un'erba salutare adesso richiedeva una serie di studi scientifici simili a quelli necessari per approvare un medicinale. Nessuna di queste leggi avrebbe mai visto la luce se non nel clima generalizzato di paura e imbarazzo che seguiva lo scandalo della mucca pazza.
Ma l'estratto di stevia, fatto in Brasile, era ancora disponibile in diversi paesi europei e stava per conquistarsi una fetta del lucrativo mercato dei dolcificanti. Dopo anni di discussioni tra industria, Commissione europea e parlamento europeo, il regolamento sugli alimenti 'nuovi' fu approvato nel mese di gennaio 1997. Poco dopo, la questione della stevia come dolcificante in alternativa allo zucchero fu nuovamente sollevata. La Specchiasol di Verona si rivolse al comitato scientifico per gli alimenti, l'organismo che valutava la sicurezza degli alimenti. Dopo due anni di delibere, nella sua opinione del 17 giugno 1999, il comitato segnalava ancora "dubbi sulla sicurezza" dell'estratto di stevia e si diceva "insoddisfatto della documentazione" fornita. La Commissione europea ha quindi vietato, nel febbraio 2000, la vendita della stevia.
Così la stevia continuava a non essere accettabile come dolcificante in Europa, mentre l'aspartame portava guadagni miliardari alle multinazionali e danni ingenti alla salute degli utilizzatori. Il regolamento sugli alimenti 'nuovi' non consente l'uso di una sostanza se non dopo documentazione medica e tossicologica, consistente di studi clinici e di laboratorio dai costi praticamente inaccessibili che solamente le multinazionali della chimica e del farmaco se lo possono permettere.
Passano alcuni anni e l'aspartame comincia a perdere colpi. La campagna a livello dei consumatori che mette in evidenza la dannosità del dolcificante chimico ha i suoi effetti. La gente comincia a storcere il naso quando sente parlare di aspartame e comincia a evitare le bevande "light". Le vendite delle bevande gassate soffrono. Alcune fabbriche che producono aspartame in Europa chiudono. La Merisant di Chicago, erede della Monsanto che vende l'aspartame sotto il nome "Equal" in tutto il mondo va in bancarotta, schiacciata dai debiti.
E le bevande "light"? Nessun problema, dicono alla Coca Cola Company: abbiamo fatto studi su un estratto di stevia. Il marchio commerciale si chiama Truvia e il nuovo dolcificante è stato sviluppato dalla Coca Cola con l'aiuto del Cargill, multinazionale del grano e degli alimenti industriali e dei farmaci. Anche la Pepsi ha preparato il suo estratto di stevia. Si chiama PureVia ed è simile a quello della Coca Cola. Il business continua. Così in futuro potremo trovare la nostra bevanda light senza aspartame, dolcificata con la stevia.

Sarà solo questione di tempo affinché anche le autorità "scientifiche" europee si renderanno conto che la stevia non era così pericolosa e che era solo un equivoco. O potrebbe essere stata tutta una strategia progettata a tavolino?
(fonte: laleva.org; immagini dal web)

lunedì 16 novembre 2009

PAN DI MIELE di Sandrina


Ingredienti: burro 100 gr, zucchero 50 gr, farina 200 gr, 3 uova, miele da 3 a 6 cucchiai, lievito per dolci, latte.
Esecuzione: imburrare e infarinare la tortiera, accendere il forno. Montare a neve i tre albumi delle uova e metterli in frigo; lavorare il burro, tenuto fuori dal frigo finchè morbido, con almeno 3 cucchiai di miele e lo zucchero; aggiungere la farina setacciandola da un colino e i tre tuorli. Se necessario aggiungere un pò di latte per rendere l'impasto meno asciutto. A discrezione aggiungere del miele (ma questo è meglio riservarlo alle prossime volte, dopo aver fatto la prima prova e aver testato il risultato); aggiungere poi il lievito per dolci (mezza bustina basterà) setacciandolo. Infine, solo quando tutto il resto è ben amalgamato, mescolare all'impasto gli albumi con delicatezza, dal basso verso l'alto in modo da non sgonfiare il tutto. Cuocere in forno a 180° per 40 minuti.
(foto da: tuttoricette.net)

sabato 14 novembre 2009

MIGLIORARE LA PROPRIA ALIMENTAZIONE IN "TOT" LEZIONI



A seguito di una conversazione su Fb e della lettura di articolo ho pensato di dare il mio modesto contributo. Vorrei insegnarvi a mangiare meglio, senza rinunciare sempre a tutto e senza la paranoia della dieta. Non è una dieta: è un corso di miglioramento. Proviamo?

Cominciate col pensare a cosa pensate del cibo. Non è un gioco di parole. Pensate da magri o pensate da grassi? Siete sempre a dieta ma pensate tutto il giorno al cibo o mangiate con gusto quando avete fame ma non ne siete ossessionati?
Questo è il vostro primo compito da fare.
Rispondete a me (che sarà come rispondere a voi stessi)

NON SEGUITE I CONSIGLI DEL NUTRIZIONISTA (titolo ironico)

Scritto da: Massimo Bernardi mercoledì 2 settembre 2009 da: www.dissapore.com
Supponiamo, come dicono le agenzie stampa, che al rientro dalle vacanze 4 italiani su 10 abbiamo (almeno) un paio di chili da smaltire. Primo. Per due chili non vado dal dietologo, faccio da me. Secondo. Sfoglio qualche giornale in cerca di diete e consigli. Apriti cielo! Inizia la danza dei nutrizionisti, simile a un incessante passo a due con l’industria alimentare felice di poter proporre ogni anno prodotti nuovi, costosi, e “consigliati dagli esperti“. Sono veramente capaci di dire tutto e il contrario di tutto. Date un’occhiata a cosa abbiamo trovato cercando qualche minuto.
A – Ad andare controtendenza è la dr.ssa Chiara Evangelista, dell’Associazione Dietologi Australiani che afferma come il consumo eccessivo di cibi light quali, per esempio gli yogurt “magri”, faccia in realtà gonfiare la pancia. La Stampa, 31.08.09
A – Secondo Henri Chenot, patron del Palace Merano Espace Henri Chenot, nel corso della giornata si possono bere yogurt con probiotici, ricchi di enzimi e microrganismi bioattivi ad azione antimicrobica. L’Espresso, 31.08.09.
B – Non fate mangiare troppo i bambini, evitando cibi calorici e grassi e prediligendo frutta e verdura. Anche per i bimbi i liquidi sono molto importanti: dunque farli bere molto e mangiare gelati, purché di qualità. Messaggero, 19.08.09.
B – Ma per evitare che i propri figli mettano su ciccia è meglio non essere troppo drastici vietando cibi poco sani, perché si rischia di ottenere l’effetto opposto e ritrovarsi con adolescenti con qualche taglia di troppo. Corriere, 28.08.09.
C – Volete fare il pieno di antiossidanti? Non assumeteli insieme al latte. Lo suggerisce un nuovo studio dell’INRAN, che ha riscontrato come i mirtilli, frutti dotati di un’elevata potenzialità antiossidante, vedano drasticamente ridotta questa facoltà dall’associazione con il latte. Corriere, 11.02.09.
C – Aprano le orecchie tutti quelli che stanno a dieta. Per arrivare a mezzogiorno senza dover cedere a uno spuntino a metà mattina, magari calorico e poco salutare, basta bere una bella tazza di latte a colazione. Corriere, 21.08.09.
D – Il suggerimento ci arriva dai ricercatori dell’Università olandese di Wageningen, i quali affermano che mangiare piccoli bocconi, masticare lentamente e a lungo offre ai propri sensi l’impressione di essere sazi. La Stampa, 02.09.2009.
D – Guardare ma non toccare, la dieta definitiva. Secondo la psicologa Floor Kroese dell’Università di Ultrecht in Olanda, le donne che vogliono perdere qualche chilo devono guardare immagini di dolci tentazioni. Repubblica, 18.08.09. Se volete perdere qualche chilo.
E - Uno studio del Beth Israel Deaconess Medical Center (Usa) mette in guardia dai regimi alimentari poveri di carboidrati: effetti negativi per la circolazione. Con aumento del rischio infarto. Repubblica, 25.08.2009.
E – Con la scoperta che un eccesso di carboidrati è dannoso tanto quanto un eccesso di grassi, negli ultimi anni l´indice glicemico ha assunto una importanza che va molto al di là di quello che in realtà possiede. Toscana Sport, 25.08.09.

CRUMBLE DI MELE E PERE di Laura Dagnino



Ricevo e pubblico la versione, più che sperimentata, di un'amica di una ricetta classica.
Per 6 persone: 150 gr di farina, 100 gr di burro, 100 gr di zucchero, cannella in polvere, 2 pere e una mela (o viceversa). Si mette la farina nel mixer con il burro freddo a dadini, una spolverata generosa di cannella (in casa mia la cannella è molto amata, per cui io ne metto un cucchiaino da caffè bello colmo) e lo zucchero. Frullare finchè non si ottiene un insieme di briciole irregolari. Sbucciare i frutti e, dopo aver eliminato i torsoli, tagliarli a cubetti. Ungere una pirofila con poco burro e porvi i pezzi di frutta mescolati. Versare l'impasto sopra i frutti e livellare scuotendo leggermente la pirofila di lato. NON cercare di schiacciare la superficie con un cucchiaio: rimanendo irregolare, diventerà molto croccante. Cuocere nel forno già caldo a 210 gradi per circa 25 minuti (la superficie dovrà essere bella dorata.)
Questo dolce può essere servito caldo o a temperatura ambiente. Meglio prepararlo con poche ore di anticipo per conservarlo bello croccante sopra; è ottimo servito tiepido o caldo con del gelato alla crema. Presentarlo direttamente nella sua pirofila (non si può sformare) e servirlo con una paletta.
Ho due consigli:
1) d'estate si possono sostituire le mele e le pere con frutti rossi (more, lamponi, fragole, ribes) e una pesca.



2) Il crumble è buono se fatto e consumato tiepido o caldo, ma non il giorno dopo
(foto: ricette.it.msn.com)


giovedì 12 novembre 2009

I PESSIMISTI DIMAGRISCONO PIÙ DEGLI OTTIMISTI

L'ottimismo sarà pure “il profumo della vita”, ma non aiuta a perdere peso. Per perdere i chili di troppo sembra sia meglio essere pessimisti: nelle persone che tendono a vedere tutto nero la dieta sembra funzionare di più rispetto a chi ha sempre il sorriso sulle labbra. Lo sostiene uno studio giapponese, pubblicato su su “BioMed Central - BioPsychoSocial Medicine”. Il carattere e la personalità svolgono infatti, per i ricercatori della Doshisha University, in Giappone, un ruolo non secondario nelle decisioni e negli atteggiamenti che riguardano una dieta. Nella ricerca nipponica, il dott. Hitomi Saito e colleghi hanno tenuto sotto osservazione, per sei mesi, 101 pazienti obesi ricoverati al Kansai Medical University Hospital Clinic. A queste persone era stata prescritta una terapia dimagrante, che comprendeva una dieta alimentare, degli esercizi fisici e una consulenza psicologica e caratteriale. I volontari inclusi in questo studio hanno compilato, prima e dopo lo svolgimento della ricerca, un questionario psicologico, dal quale si poteva evincere in maniera abbastanza attendibile la loro personalità. Dall'analisi di questi test e di quanto emerso durante il periodo della terapia dimagrante, è venuto fuori che i pessimisti riuscivano a perdere peso di più e meglio rispetto agli ottimisti.
Questo avveniva, secondo gli scienziati, perchè i pessimisti riuscivano ad acquisire una migliore consapevolezza di sé attraverso la consulenza psicologica e, diffidando di perdere facilmente peso, si applicavano con più rigore alla dieta e al programma di dimagrimento loro prescritto. I pessimisti, tuttavia, al termine dei sei mesi di terapia dimagrante, si mostravano più ottimisti e con migliori capacità di auto-controllo. Questi ultimi risultati si verificavano indipendentemente da quanti chili questi individui erano riusciti a perdere.
Coloro che erano ottimisti già da prima dello studio, invece, hanno perso meno peso nel corso della ricerca. I dottori spiegano questo con la maggior preoccupazione dei pessimisti per la propria salute, la qual cosa li spinge a seguire più rigorosamente le cure. Per il dott.Saito è molto importante favorire l'autorealizzazione dei pazienti e le loro capacità di autocontrollo, al fine di ridurre lo stress psicologico e mantenere nel tempo la perdita di peso. Un buon segno è anche dato dal fatto che i pessimisti, alla fine del programma terapeutico, si mostravano più ottimisti e sicuri di sé: questo favorisce il mantenimento negli anni dei comportamenti giusti appresi con la consulenza nei sei mesi di cura e incentiva a tenere costantemente un corretto stile di vita.
Sicuramente non bisogna assolutizzare le conclusioni dello studio giapponese, vista l'esiguità del campione considerato (poco più di cento persone) e i molteplici positivi effetti sulla salute derivanti dall'ottimismo, provati da diverse ricerche scientifiche. L'indicazione utile che si può trarre dall'indagine asiatica è quella che spinge a intraprendere e seguire seriamente un programma di dimagrimento e a cambiare il proprio stile di vita, mantenendo negli anni delle salutari abitudini e dei corretti comportamenti.

(articolo da: http://italiasalute.leonardo.it/news.asp?ID=10134; immagine finale: blackblonde.splinder.com)

mercoledì 11 novembre 2009

GUARDANDOMI INTORNO...

...scopro che va di moda chiudere il proprio blog. E che quando si chiude si ricevono un sacco di complimenti e bacini e abbracci e sorrisi. Accidenti: li voglio anche io! Quindi vi comunico che chiudo il blog. Un caro saluto a tutti!

STORIA DEL RISO - 2 PARTE: IL RISO NEL MEDITERRANEO

Fu probabilmente Alessandro Magno che, dopo la conquista dell'India, sul finire del IV secolo a.C. introdusse il riso nel mondo occidentale. La coltivazione rimase sostanzialmente estranea ai Greci ed ai Romani che usarono il riso piuttosto a scopi terapeutici e come pietanza costosa, importata direttamente dall'India e dalla regione persiana. L’Egitto fu la prima tappa del percorso che portò il riso a diffondersi nel Mediterraneo. Si deve alla colonizzazione araba il trasferimento della coltivazione del riso dall’Egitto alla Spagna, probabilmente poco dopo il 1000 d.C. La conquista araba delle terre del Mediterraneo occidentale favorì la diffusione della coltivazione del riso sia per soddisfare le esigenze degli stessi arabi, sia perchè il riso cominciava ad entrare nelle abitudini alimentari dei popoli conquistati. Presumibilmente con essi dunque il riso entrò anche in Spagna e in Sicilia, ove divenne un prodotto familiare in gastronomia. Negli altri paesi europei rimase essenzialmente un cibo esotico, utilizzato come farina per la preparazione di particolari creme e dolci. Se si esclude la Sicilia araba, in Italia la storia del riso ha inizio negli ultimi secoli del Medioevo: intorno al 1250 ne è testimoniato l'uso presso ospedali e famiglie nobili come alimento terapeutico, nutriente e digeribile, ma anche raffinato e versatile in gastronomia. Nel corso del quindicesimo secolo, la sua coltivazione si diffonde nell'Italia centrale e settentrionale, in Toscana e soprattutto nella pianura Padana. E' introdotto probabilmente dalla Spagna: il suo uso è attestato infatti nel Regno di Napoli e in Lombardia, territori allora appartenenti ai possedimenti spagnoli. Nel 1468 fu inaugurata la prima risaia, mentre il primo documento che dimostra la coltivazione del riso in Italia risale al 1475 ed è una lettera di Galeazzo Maria Sforza, il quale prometteva di inviare dodici sacchi di riso al Duca di Ferrara. Con l’avvio della coltivazione in Lombardia il riso, da prodotto di uso esclusivo degli speziali, divenne un elemento dell’alimentazione dei Lombardi.

Rimane un piatto particolare, adatto a ricorrenze festive: non si può in proposito non richiamare il dipinto di Pieter Bruegel Nozze contadine che pone in primo piano proprio le scodelle di riso. Al tempo stesso però, alle soglie dell'età moderna, cambia la destinazione del riso: la sua coltivazione si espande anche in monoculture, primo esempio di iniziative capitalistiche, ma soprattutto tentativo di sopperire alla fame di una popolazione in continuo incremento demografico. Al pari del mais e della patata, il riso è uno dei nuovi alimenti dell'Europa moderna.
Dopo il boom popolare cinquecentesco, la coltivazione sembra avere un decremento nel XVII secolo, perché nell'idrocoltura delle risaie si ravvisa una delle cause dell'aria malsana e pestilenziale che nuoce alla salute e propaga le epidemie come la malaria. Ma nel XVIII secolo, fugati questi erronei sospetti, il riso è nuovamente protagonista nelle diete ricche di farinacei utilizzate per sopperire alle gravi difficoltà alimentari e alle carenze nutrizionali. Grazie alla sua elevata produttività, il riso entra pienamente nella agricoltura e nella gastronomia italiana degli ultimi due secoli.
(foto: vercellink.com)

martedì 10 novembre 2009

STOCCAFISSO A BRANDACUJUN


Preparare semplicemente il merluzzo secco (stoccafisso), bollirlo e condirlo con olio extravergine d'oliva, aggiungendo qua e là ingredienti diversi a seconda delle zone, è tipico della fascia che partendo da Genova attraversa la Riviera Ligure di Ponente ed i paesi Occitani per giungere in Catalogna con appendici in Navarra ed Aragona. Ma l'area del nostro "brandacujun" si restringe alla provincia di Imperia; meglio ancora all'estremo ponente con le sue vallate con timide presenze - più che altro storiche - a Nizza ed a Mentone dove con simpatica assonanza linguistica diventa "brandaminchan". Curiosa è l'etimologia di questa parola: la prima parte deriva dal verbo brandare che in provenzale antico significa "scuotere" mentre la seconda parte sembra derivare dal fatto che fosse delegato a a questo compito il componente meno sveglio della famiglia. Altre versioni parlano di un piatto preparato dai marinai e di come il risultato fosse dovuto al naturale scuotimento dello stoccafisso a seguito del mare grosso.
La ricetta non è codificata in senso assoluto ed ogni zona, vorrei dire ogni cuoco o cuoca o famiglia ve ne darà una sua versione aggiungendo o togliendo questo o quell'ingrediente; eccone una scarna e fedele all'originale.
Ingredienti per 8 persone: 1,8 kg di stoccafisso ammollato, 1 kg di patate, 2 spicchi d’aglio, alcuni rametti di prezzemolo, sale, pepe bianco, olio extravergine d'oliva della Riviera Ligure di Ponente.
Procedimento: tagliate a pezzi lo stoccafisso e mettetelo sul fuoco in una capace pentola bassa piena di acqua fredda salata, quando raggiunge l'ebollizione abbassate la fiamma ed unitevi le patate pelate e tagliate in due, continuate la cottura sino a che le patate saranno morbide; ci vorrà una mezz'ora ed avrete nello stesso tempo lo stoccafisso cotto. Scolate il tutto e lasciate intiepidire per poter schiacciare le patate e ripulire lo stoccafisso di pelle e lische, sminuzzandolo via via con le dita. Rimettete patate e stoccafisso nella pentola di cottura, condite con sale e poco pepe bianco, unite il trito di foglie di prezzemolo e spicchi d'aglio ed abbondante olio extravergine d'oliva. Rimettete il coperchio alla pentola di cottura e per maggiore sicurezza avvolgetela in un ampio strofinaccio che annoderete. Cominciate allora a "Brandare" (cioè a muovere la pentola con movimento rotatorio, scuotendola ogni due o tre giri) per il tempo che basta ad amalgamare tutti gli ingredienti ed ottenere un composto omogeneo nel quale si possano tuttavia individuare le patate e lo stoccafisso. Servite caldo, ma non bollente, completando con una macinata di pepe ed un bel filo d'olio extravergine d'oliva. In qualche ristorante viene mantecato molto finemente e servito con crostini.
(foto: grassoz.wordpress.com e laviaromana.it)

lunedì 9 novembre 2009

MATEMATICA IN CUCINA

IL PAPIRO RHIND, il documento più antico che possediamo sulla matematica egizia, contiene questo problema:

“ci sono 7 case, ognuna ha 7 gatti, ogni gatto ha mangiato 7 topi. Ogni topo ha mangiato 7 spighe di grano, e ogni spiga avrebbe prodotto 7 unità di grano. Quante cose in totale abbiamo nominato?”

È anche noto come Papiro di Ahmes dal nome dello scriba che lo trascrisse verso il 1650 a.C. durante il regno di Aphophis (quinto sovrano della XV dinastia) traendolo da un papiro precedente composto fra il 2000 a.C. e il 1800 a.C. Si trova attualmente al British Museum che lo acquistò nel 1865; alcuni piccoli frammenti sono conservati al Brooklyn Museum di New York.


domenica 8 novembre 2009

CROSTATA DI MELE E MANDORLE di Adriano Continisio

Perchè oggi 8 novembre 2009 molti food bloggers e forumisti pubblicano in contemporanea questa ricetta?

Per solidarietà con Adriano Continisio che l'ha inventata e pubblicata sul suo blog già nel 2007.
 
Riassumendolo in pochissime parole, questa manifestazione vuole porre l'attenzione prima di tutto sulla necessità di un comportamento corretto per chi usa la rete nei confronti di chi pubblica materiale. Spesso si sceglie di mettere a disposizione il proprio materiale o lavoro con una licenza che permette di usarlo a condizione che se ne citi la fonte e questo è già un dono, a mio avviso. Si dice a chi legge: puoi gratuitamente utilizzare il materiale, puoi prenderlo, ma devi specificare che è mio e dire dove l'hai preso. Non è chiedere molto!
Altra importante condizione è che il materiale non venga usato a scopo di lucro. Quando tutte e due le condizioni non vengono rispettate è evidente che la cosa è ancor più grave.

Questa volta è capitato ad Adriano, ma nel tempo è già capitato ad altri. Creare un tam tam è forse il primo di tanti passi per avversare il fenomeno, perciò ci siamo uniti e oggi pubblichiamo con il nome del suo autore la ricetta e la foto della crostata che ognuno di noi ha preparato.
E' ora che tutti sappiano di chi è la farina e pure il sacco!!!!! Questa la ricetta:

Ingredienti: 400gr pasta frolla, 4 mele grandi (ca. 600gr al netto degli scarti), 80gr di zucchero, 4 cucchiai di amaretto di saronno, succo di mezzo limone, poca cannella in polvere. Massa di mandorle: 120gr uova intere, 60gr zucchero, 50gr farina di mandorle, 15gr farina di mais fioretto, 15gr fecola, un pizzico di sale, estratto di mandorle, una manciata di mandorle a lamelle, sciroppo di zucchero, marmellata di albicocche.
Preparazione: saltare a fiamma alta le mele sbucciate e tagliate a cubetti, miscelate con il succo di limone e lo zucchero, fino a che non risultino asciutte ma non spappolate. Incorporare il liquore e la cannella e lasciare raffreddare. Foderare uno stampo da 26cm e cuocere in bianco per 15 minuti (i primi 10 con carta da forno e riso). Nel frattempo montare le uova con lo zucchero ed il sale, incorporare delicatamente le polveri e poche gocce di estratto. Pennellare la frolla con poca marmellata, versare le mele, coprire con la massa e cospargere con le mandorle a filetti. In forno a 170° per ca. 20 minuti. All'uscita dal forno lucidare con sciroppo a 30°be.
(testo e foto da triplocioc.blogspot.com)

JALEBI


Sono le frittelle allo sciroppo tipicamente indiane, ma si mangiano anche nei paesi limitrofi. Nelle città dell'India si vendono ovunque, anche per strada.
Ingredienti: 250 g di farina, 500 g di zucchero, 1 bustina di zafferano, 1 cucchiaio di semi di cardamomo, 2 bicchieri di olio di semi, 1 uovo.
Preparazione: mettere la farina in un recipiente largo e mischiarvi insieme il tuorlo e tanta acqua fredda quanto basta per fare una pastella cremosa. Una volta fatta, lasciare che riposi per circa due ore. Poi, sciogliere lo zucchero in mezzo bicchiere d'acqua, aggiungervi il cardamomo, lo zafferano e far sciroppare al fuoco. Riprendere la pastella e unirvi l'albume sbattuto a neve. Friggerla a fili, facendola colare (anche girandola per darle una forma) attraverso un imbuto nell'olio bollente. Infine, raccogliere le frittelle con paletta bucata e rotolarle nello sciroppo caldo.

(foto: stranieriinitalia.it)

LA POLPETTA DEL RE, lanterna magica per bagaj e bagajoni di Ferdinando Fontana

L'amica Elena Sivieri ci regala questa chicca, dicendo: "Questo è il testo della Regal Polpetta, divertente brano in milanese da recitare in teatro. Pochi lo conoscono purtroppo, anche perchè di milanesi qui non ce ne sono quasi più! Questo è il testo originale , come l'ho sentito recitare in un teatro di Milano."


On'olivetta
che, al post de l'oss,
la gh'abbia on trifolin
involtiàa in dò fett
de carna de cavrett.

Mett dent sto polpettin
in d'on ortolanin;
mett dent l'ortolanin in d'on dordin;
mett quest in del panscin d'ona quajetta,
e la quajetta in d'ona pernisetta,
e la pernis in d'on fasan doràa,
che in del sciampagn primma el dev vess lavàa.

Sto fasan mèttel dent in d'on cappon;
sto cappon mèttel dent in d'on pollin;
sto pollin mèttel dent in d'on ocon;
e sto ocon mèttel dent in d'on porscell.

Poeu mètt dent el porscell in d'on vitell;
e sto vitell mèttel dent in d'on boeu;
e liga sù tuscoss cont del ramett.
Fà coeus caròtol, verz, fasoeu,
aj, scigòll, rosmarin, biedrav, ravett,
baggiann, sèller, tomates, erbion
e pomm de terra in d'ona gran caldera,
cont dent on mila liter de barbera;
mett la caldera sora on gran fogon,
e bùttegh, quand la buj, di peveron,
del timm, de la cannella, tanto sàa,
e cent chili de zuccher raffinàa;
e poeu traggh dent el boeu ligàa ben ben,
e làssel coeus on dodes or almen!


Quand sarà sugàa sù el barberon,
tra via, senza paura,
tutta la toa verdura;
e, dopo, boeu, vitell, porscell, ocon,
pollin, cappon, fasan,
pernis, e quaja, e dord, e ortolan;...
e serv, caldo fumante, el nisciorin:
che saran i dò fett
de carna de cavrett,
cont denter l'olivetta,
cont dent la trifoletta!!!

Questa l'è la ricetta - de la regal polpetta!
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Un olivetta,
che al posto dell'osso
abbia un tartufino
avvolto in due fette
di carne di capretto.

Mettere questo polpettino
dentro un ortolanino;
mettere l'ortolanino
dentro un tordino;
mettere questo
dentro il pancino
di una quaglietta,
la quaglietta
dentro una pernicetta,
e la pernice
dentro un fagiano dorato
che nello champagne
deve pima essere lavato.

Questo fagiano
metterlo dentro un cappone;
questo cappone metterlo dentro un pollino;
questo pollino metterlo dentro un ocone.
Questo ocone metterlo dentro un porcello,
poi mettere il porcello dentro un vitello
e questo vitello metterlo in un bove.

Lega tutto con dei rametti.
Fa cuocere carote, verze,fagioli,
aglio, cipolle , rosmarino,
bietole, raperelle,
sedano, pomodori, patate
in un grande coldera (= Grosso vaso di rame)
con dentro mille litri di barbera,
metti la coldera sopra un gran focone
e buttagli, quando bolle,
del peperone,
del timo, della cannella,
tanto sale,
e cento chili di zucchero raffinato;
poi butta dentro il bue legato
ben bene
e lascialo cuocere dodici ore almeno.

Quando sarà asciugato il barberone,
butta via,
senza paura,
tutta la tua verdura
e dopo
bue, vitello, porcello,
ocone, pollino, cappone,
fagiano, pernice, quaglia ,
tordo e ortolano
e servi, caldo e fumante ,
il nocciolino:
le due fette di capretto,
con dentro l'olivetta,
con dentro la trifoletta.

Questa è la ricetta della regal polpetta.


(trad. Elena Fiorentini)