Secondo Rotondi, ministro per l'Attuazione del programma di governo si auspica un cambio di abitudini: "Un quarto dei tedeschi mangia lavorando. In Inghilterra molti rinunciano o la riducono. Bonanni (Cisl): "Dia l'esempio, non vada alla buvette e i lavoratori lo seguiranno"
ROMA - "La pausa pranzo è un danno per il lavoro, ma anche per l'armonia della giornata. Non mi è mai piaciuta questa ritualità che blocca tutta l'Italia". Ne è convinto Gianfranco Rotondi, ministro per l'Attuazione del programma di governo ospite del programma tv web 'KlausCondicio'.
"Non possiamo imporre ai lavoratori quando mangiare - afferma il ministro - ma ho scoperto che le ore più produttive sono proprio quelle in cui ci si accinge a pranzare. Chiunque svolga un'attività in modo autonomo, abolirebbe la pausa pranzo. Casomai sarebbe meglio distribuirla in modo diverso, come avviene negli altri Paesi". "In Germania, ad esempio, per incentivare la produttività - nota Rotondi - la pausa pranzo in alcuni posti di lavoro dura mezz'ora, mentre si estende a 45 minuti per chi lavora oltre le 9 ore. Tuttavia, secondo un recente sondaggio, un quarto dei tedeschi trascorre la propria pausa pranzo lavorando. Anche in Inghilterra molti dipendenti vi rinunciano o la riducono, sia nei minuti che nel numero di pause nel corso dell'intera settimana". "Negli ultimi due anni - ha concluso il ministro - si è scesi da una media di 3,5 pause a settimana del 2006 a 3,3 nel 2008. Addirittura meno di 3 per le donne. In Francia lo statuto dei lavoratori riconosce 20 minuti ogni 6 ore, mentre in America la pausa pranzo non è proprio prevista dalla legge federale ed è regolamentata autonomamente dai singoli Stati, mentre in Canada e Svezia si pranza davanti alla scrivania". La precisazione. Più tardi il ministro, con una nota, chiarisce il suo pensiero: "Non ho fatto nessuna proposta di abolire la pausa pranzo, ho solo detto a un giornalista che io l'ho abolita da vent'anni e lo stesso consiglio alla Camera dei Deputati, perché quella è l'ora in cui si lavora meglio. Si capisce che i lavoratori devono avere le loro pause e devono mangiare, magari sarebbe utile che ognuno si gestisse questa pausa come crede, ma è chiaro che è impossibile". La replica. Pronto il commento del segretario della Cisl Raffaele Bonanni: "La pausa pranzo dove, nei cantieri edili? Nei campi? I lavoratori quando pranzano, lo fanno in maniera molto frugale, quasi sempre un panino o qualcosa del genere. Se Rotondi vuole dare il buon esempio, lo dico con simpatia, non vada più alla buvette e i lavoratori italiani ne seguiranno l'esempio", ha detto Bonanni ai microfoni di Cnrmedia. "Il paragone con gli altri Paesi è fuorviante - ha continuato Bonanni - qui in Italia non ci sono le mense. Non ci sono a scuola, non ci sono nel pubblico impiego. E dove ci sono hanno un massimo di 800 calorie, quindi decisamente leggere. Infine, io negli Stati Uniti ci sono stato più volte e ho sempre visto i lavoratori usufruire della pausa pranzo". La contro-replica. "Non vado alla Buvette, non pranzo da anni ma non mi sogno di entrare in conflitto coi legittimi diritti dei lavoratori - ha risposto il ministro -. Certo, se fosse possibile rinunciare alla pausa pranzo e uscire un'ora prima se ne avvantaggerebbero la produttività e la famiglia del lavoratore". Successivamente è intervenuto anche il segretario della Uil Luigi Angeletti: "Ovviamente mi sembra una cosa molto curiosa si vede che non ha esperienza diretta di un lavoro di otto ore di seguito in azienda, fabbrica o ufficio dove le persone non possono gestirsi tempo o lavoro. In certe condizioni dire ognuno fa come gli pare è una battuta, semplicemente perché non si puo fare. La pausa - ha spiegato il sindacalista - è necessaria per motivi fisiologici e biologici. Dove si lavora a turno si fa la pausa a fine orario, consentendo a chi lavora di uscire prima o entrare dopo. In altri casi ci sono pause durante l'orario di lavoro. E' bene lasciare fare alle persone interessate nei limiti permessi dall'organizzazione del lavoro". "Mangiare sul luogo di lavoro è una necessità non una scelta - ha continuato Angeletti - Sono pochi gli italiani che possono permettersi di mangiare a casa. I più fortunati hanno la mensa quindi mangiano sul luogo di lavoro, ma milioni di persone non hanno la mensa, e non per scelta, quindi sono costretti a mangiare un panino usando i ticket. Ci sono 17 milioni di persone - ha concluso Angeletti - sono lavoratori dipendenti e non possono organizzarsi a loro piacimento. Bisogna esserci passati per saperlo".
Evito i commenti di tipo sindacale, che lascio ad altri. Dal mio punto di vista, la prima cosa che faccio rilevare è la differente abitudine di orari e di suddivisione dei pasti fra noi e gli anglosassoni e paesi scandinavi. Loro fanno SEMPRE una abbondante colazione, noi quasi mai. Perciò loro possono stare più tempo semza mangiare (o mangiando solo un'insalata o un sandwich) e noi no, e non parlo di sensazione di fame ma proprio di necessità fisiologica cui ne consegue una ipoglicemia, per noi, che rende la vita lavorativa e scolastica più difficile. Al nord inoltre alle cinque del pomeriggio il lavoro è finito e cenano molto presto (d'altra parte dopo è buio pesto e freddo boia, cosa vuoi che facciano?).
RispondiEliminaLa seconda considerazione è che in effetti mangiare molto lavorando, o tornandoci subito dopo, implica una digestione lenta che di nuovo compromette la lucidità e persino la sicurezza. D'altra parte le pause, se ben calibrate, servono a rendere più efficiente e alacre il lavoro.