martedì 22 dicembre 2009

ASPIC AI FRUTTI DI BOSCO


Ingredienti: frutti di bosco a scelta, fogli di colla di pesce, vino Moscato oppure spumante o Brachetto, zucchero, uno stampo da budino o da plumcake.
Per la gelatina dolce: per 2,5 decilitri di vino moscato dolce ci vogliono 30 grammi di zucchero e 3 fogli di colla di pesce. Seguendo sempre queste proporzioni potete preparare tutta la gelatina che vi occorre, sia per uno stampo unico che per tanti piccoli stampini singoli; ricordate però che preparando quantità consistenti potrete diminuire un pò lo zucchero e la colla di pesce in proporzione. Una bottiglia di vino è 7,5 decilitri.
Lavare e pulire i frutti di bosco oppure (se si usano quelli surgelati) farli scongelare delicatamente in modo che non si rovinino troppo. Scaldare a fuoco basso il moscato sciogliendovi lo zucchero; intanto mettere a bagno i fogli di colla di pesce. Quando lo zuccherò è sciolto, spegnere il fuoco e mettere nel vino la colla di pesce strizzata, mescolare e amalgamare. Mettere un pò di gelatina nello stampo scelto e far solidificare in frigo; in seguito mettere un pò di frutti di bosco e dell'altra gelatina e rimettere in frigo a solidificare. Continuare in questo modo fino alla fine degli ingredienti: otterrete un aspic omogeneo, e non con i frutti tutti ammassati in fondo e la gelatina sopra. Tenere in frigo fino al momento di servire. Per estrarlo bene dallo stampo: riempire una ciotola di acqua calda ed immergervi per pochissimi secondi la base dello stampo appena uscito dal frigo. L'aspic sarà ora staccato dallo stampo e, senza che si rompa, si potrà girare sul piatto da portata.
(foto: s208.photobucket.com)

lunedì 21 dicembre 2009

QUESTO E' NATALE: COMPARTIR LA COMIDA (testo e foto di Mario Castiglioni)


Alzi la mano chi di noi abbia mai provato la fame!
Non pretendo quella tragica situazione di chi non abbia toccato cibo da giorni e giorni. Ma neppure quel “certo languorino” che ci assale una volta passata l’ora solita dei nostri lauti pasti. Intendo quindi quella situazione che ci assale imprevista, ci fa sentire lo stomaco vuoto e le membra stanche, una spossatezza generale che ci toglie ogni velleità di fare qualcosa di diverso che non sia il mangiare o ricercare cibo.

Bene, credo che questo, nel nostro opulento mondo occidentale possa capitarci solo per uno sforzo fisico esagerato, magari durante una performance sportiva prolungata.

Una di queste situazioni, prima o poi, coglie tutti quelli che “fanno” il Cammino di Santiago.


Che percorrano a piedi o in bici l’antico percorso di pellegrinaggio verso Compostela, (gli altri modi di viaggiare non c’entrano) si tratta comunque di un impegno lungo e prolungato, appunto. Ed allora il solo modo di evitare di trovarci in crisi irreversibile, è quello di “avere delle scorte”, cioè mangiare sostanzialmente con costanza e abbondanza. Soprattutto la sera, dopo una giornata lunga e faticosa in cui si è consumato un sacco di energie.

Al ristorante, o in autogestione, la regola prima è sempre e comunque “L’importante è che sia tanto, se poi è anche buono, meglio”, come diceva sempre un mio saggio amico.

A questa regola mi sono sempre attenuto nei 20 giorni in cui ho agito come Hospitalero a Granon, a metà strada tra Pamplona e Burgos, attorno al KM. 200 per chi parte da San Jean o Roncisvalle.

La grande particolarità di questo rifugio, per il resto uno dei più spartani di tutto il Cammino, è che la sera TUTTI i pellegrini cenano assieme, con quello che preparano gli Hospitaleri, appunto.

Piccolo inciso, Hospitalero deriva da “ospite” non da ospedale!

Dal 15 Ottobre al 6 Novembre 2009 a cucinare sono stati i miei compagni (prima Vicente e poi Antonio) o io. C’è un paio di ragioni pratiche perché si agisce in questo modo: nel paesino non esistono ristoranti e la cucina del Aubergue è troppo piccola per permettere a 20, 30 pellegrini di organizzarsi per conto loro, come pure avviene in molti luoghi simili. Per non dire di quei giorni estivi in cui si arriva a superare i 50 ospiti per notte!!!

Ma c’è un altro motivo, secondo me molto, ma molto più importante.

Come ricordavo spesso durante il momento di raccoglimento spirituale post cena (e questa è già di per sé una particolarità di Granon, anche se non solo) normalmente nei grandi Aubergue del Cammino ci capita di dormire senza neppure sapere chi sta nel letto accanto al nostro! Qui invece si finisce col conoscersi tutti, almeno un po’: si cena assieme, su una lunga tavolata, non su asettici tavolini in cui al massimo ci ritroviamo in 4 (amici di vecchia data, se va bene connazionali!)

Anche il cibo è uguale per tutti, così per il ricco come per il povero!

Come è bello sedersi accanto ad un Francese, un Tedesco, un Coreano…Una sera eravamo di 13 nazionalità diverse. Ma questo non crea problemi! Qualcuno per tutta la sera rinuncia ad usare la sua lingua madre pur di comunicare col vicino, sconosciuto fino a pochi minuti prima!

Bene, cosa preparare da mangiare per così tante persone di nazionalità, usi e cucine diversi?

Come dicevano i già citati Spartani “Il miglior condimento per il cibo sono stanchezza e fame!”. Come dire che il fisico affamato non fa tante storie. Però, visto che cucinavamo noi, e poi dovevamo anche mangiarlo quello che avevamo preparato, tanto valeva farlo bene!

Certo, se avessimo dovuto accontentare tutti i gusti sarebbe stata dura!

Quindi il “menu tipo” era questo: Due crostoni per rompere il ghiaccio (quando arrivano in tavola i piatti di portata nessuno vuole mai essere il primo a servirsi) una enorme insalata mista, un “piatto forte”, ed una ricca macedonia.  Abbondanti tutte le portate, senza strafare.

Ma mai scarsi, il piatto forte (pasta, riso, lenticchie, patate,…) veniva calcolato sulla base di 100 grammi per ogni commensale. Alcune sere riusciva un poco troppo abbondante,ma in genere tutto veniva spazzolato con ottimo impegno, soprattutto se i giovani prevalevano sui cinquantenni.

Quando cucinavo io cercavo sempre di non usare carne o salumi. Un po’ per un discorso di contenimento dei costi (non c’è “prezzo” per quanto offerto ai pellegrini, si accettano donazioni in ragione di quanto ognuno si sente di dare, e i succitati giovani hanno sempre pochi soldi in tasca), e tanto per assecondare gli eventuali vegetariani, quasi sempre presenti in gruppi numerosi ed eterogenei. Ma anche quando cucinavano i miei compagni Hospitaleri, Spagnoli, per i quali un piatto senza carne non è degno di essere presentato in tavola, ce la cavavamo egregiamente.

O meglio erano i pellegrini stessi ad organizzarsi per assecondare le esigenze dei vegetariani. I vicini si facevano infatti subito un dovere di lasciare loro insalata e macedonia in abbondanza, se il piatto forte non era loro indicato.

A volte cercavamo noi di “adattare” i piatti alle loro esigenze (magari semplicemente levando i pezzi di carne dal loro piatto prima di servirglielo), ma con le “Patate alla Gallega” o le lenticchie, dove pancetta, prosciutto e salsiccia a pezzetti erano la parte preponderante del piatto, non era assolutamente possibile.

Cercavamo sempre di essere seduti a tavola con loro durante la cena, portavamo delle enormi zuppiere a gruppi di 8, 10 persone, e poi loro stessi si gestivano il cibo, non c’erano camerieri!

E mai, dico mai, vi sono state discussioni per prevaricazioni, sempre quanto c’era veniva condiviso più che fraternamente (coi miei fratelli ne ho avute di discussioni altro che storie). Ma non è tutto, un altro fatto è motivo di socializzazione della cena: la sua preparazione. A parte il piatto principale, che cucinavamo solo noi (attorno ai pentoloni una sola mano, se si vuole evitare complicazioni) tutto il resto lo si faceva con l’aiuto di “volontari”.

Come poi SEMPRE ERANO VOLONTARI A RIGOVERNARE. Bene, non sempre erano totalmente positivi questi “aiuti” nella preparazione, anzi. Spesso era difficile capirsi coi volontari, non sempre, ad esempio, “a pezzetti” ha lo stesso significato per tutti quando si tratta di tagliare pomodori, insalata, peperoni. Si andava dai dadini di mezzo centimetro ai pomodori tagliati in quattro! O le carote a tocchetti di 2 centimetri perché il volontario di turno non sapeva usare la grattugia per fare la julienne!


Per non dire della difficoltà di far togliere i semi ai pomodori (non a tutti graditi) a persone che non lo hanno mai fatto per 50 anni e non ne capiscono la ragione. O far capire a delle ragazzine che non hanno mai toccato un coltello da cucina in vita loro, magari Coreane, che non parlano né spagnolo, né italiano, né inglese, né francese, né tedesco (e scusate se non conosco altre lingue a parte il dialetto, ma questo serve proprio poco, neppure con gli italiani se non sono lombardi) che non è la stessa cosa mettere nella macedonia 5 banane, poi 5 mele, poi 5 pere, poi… invece che 1 banana, 1 mela, 1 pera, 1……, una banana, 1 mela,..
“Tanto poi si mischia”! Vero, peccato che quando si agisce con 10 kg di macedonia o 20 di insalata, va a finire che uno si ritrova nel piatto quasi solo carote, o pomodori, o lattuga, o per dire della macedonia, quasi solo banane o mele o…

Come mi disse un giorno un “aiuto cuoco professionista” come si qualificò, “se faccio da solo, faccio prima e meglio”. Verissimo, ma vuoi mettere la socializzazione del preparare le cose assieme?

Vuoi mettere il sapore di quello che hai preparato personalmente assieme ad altri?
E non lo sappiamo forse tutti che “Qualunque cosa è più buona se mangiata in compagnia”?

venerdì 18 dicembre 2009

PASTA ALLA FINANZIERA: INCHIESTA IN TUTTA ITALIA

Le maggiori aziende della pasta in Italia sono state perquisite da militari della Guardia di Finanza, nell’inchiesta avviata dalla Procura di Roma sul rincaro di questo alimento. Sono state perquisite la sede della Barilla a Parma, della De Cecco a Pescara e Roma, il pastificio Garofalo a Gragnano in Provincia di Napoli, il pastificio Amato a Salerno, la sede della Divella a Bari, la sede dell’Unione Pastai Iitaliani a Roma (Unipi).
Al centro dell’inchiesta c’è l’aumento ingiustificato dal 2007 ad oggi del 50% del prezzo della pasta. L’indagine è coordinata dal Procuratore aggiunto Nello Rossi e dal sostituto Stefano Pesci e l’ipotesi è quella della creazione di un “cartello” organizzato dai maggiori produttori della pasta per aumentare i prezzi e superare la concorrenza.
La Procura procede per l’ipotesi di reato prevista dall’articolo 501 bis del Codice Penale, vale a dire manovra speculativa sul prezzo delle merci. Secondo quanto si è appreso vi sarebbe una persona iscritta sul registro degli indagati, ma ben presto gli indagati potrebbero aumentare di numero. Il Nucleo di Polizia Tributaria della Guardia di Finanza di Roma ha sequestrato documenti e verbali, anche redatti in sede di riunioni dell’associazione di categoria, atte a dimostrare la prova della manovra speculativa e la formazione del “cartello”. Il reato prevede una pena fino a 3 anni di reclusione. L’indagine era stata avviata nell’ottobre del 2007, dopo una indagine dell’Antitrust che, nel dicembre 2007, aveva messo sotto inchiesta 29 tra i principali marchi della pasta italiana, tra cui Barilla, De Cecco, Di Vella, gli stessi finiti nel mirino delle Fiamme Gialle. Una denuncia all’autorità giudiziaria era stata fatta da Adoc, Adusbef, Federconsumatori e Codacons.
(fonte: http://www.agrodns.it/agronews; immagine dal web)

lunedì 14 dicembre 2009

MIGLIORARE L'ALIMENTAZIONE IN "TOT" LEZIONI- QUINTA LEZIONE


State facendo colazione? Ormai dovreste riuscire a mangiare almeno tre fette biscottate o qualche biscotto. Magari aggiungete una spremuta d'arancia, perchè la vitamina C in questa stagione è sempre utile. Oppure uno yogurt bianco senza zucchero con un cucchiaino di miele. Ma se siete stati bravi metterete ormai i tre cucchiaini di miele sulle tre fette biscottate, avendo una scorta di energia per buona parte della mattinata.
Da oggi inoltre potreste iniziare ogni pasto con una insalata mista, da condire con poco sale e olio. Sgranocchiare verdura cruda dà la soddisfazione del "masticare" e, oltre l'indubbio vantaggio nutrizionale dell'introduzione di vitamine e sali minerali, evita di riempire lo stomaco con cibi più calorici e apportatori di grassi. Questi ultimi, se non avete fatto colazione e neppure uno spuntino, vi attireranno come una calamita, anche per la giustificata fame con cui arriverete al pranzo oltre che per la loro golosità. "Spezzare " la voglia irresistibile di nutrirsi con verdura cruda farà sì che consumiate in minor quantità pasta o pane o altro cibo che vi aspetta per pranzo ma soprattutto che li consumiate CON CALMA rendendovi conto di cosa mangiate, che sapore ha e quanto ne state mangiando. Inoltre masticherete meno frettolosamente e ciò favorirà una buona digestione.

domenica 13 dicembre 2009

LUSSEKATTER di Davide Gambi

Lussekatter ovvero "gatti di Lucia". Si tratta di una ricetta tipica svedese preparata nel periodo natalizio. La spezia utilizzata e' lo zafferano che, con il suo colore giallo, ricorda la il sole nel buio periodo invernale nordico.
Ingredienti:
- 700 grammi di farina per dolci
- 150 grammi di burro
- 1 uovo
- 1,5 grammi di zafferano
- 3 dl di latte
- 150 grammi di zucchero
- 50 grammi di lievito di birra fresco
- sale
- uva sultanina
Esecuzione: Fondere il burro e aggiungere latte e zafferano. Portare ad ebollizione, togliere dal fuoco e versare il composto sopra il lievito fatto a pezzettini. Aggiungere gli altri ingredienti escluso uvette e uovo. La pasta deve risultare morbida e non appiccicosa, e deve essere lasciata riposare per 40 minuti, una trentina di pezzi e ca ciascuno ricavare una striscia cilindrica. Creare una "esse" o un "otto" da ciascuna scriscia. Decorare con l'uvetta ammollata e lasciare riposare altri 40 minuti. Infine spennellare le focaccine con l'uovo sbattuto. Infornare a 250 gradi per 10/12 minuti a seconda del grado di doratura desiderato.

mercoledì 9 dicembre 2009

KEBAB E KEBAB


Torrnata da un breve viaggio a Istanbul con un gruppo di età medio-alta e di ceto altrettanto medio-alto. Tutto bellissimo: Moschea blu, Santa Sofia, San Salvatore in Chora, mosaici, bazaar, il Bosforo, la storia...già: la storia che si porta dietro delle tradizioni e quindi una cultura, anche gastronomica. L'unica cosa che mi ha lasciata perplessa è stato l'atteggiamento verso il cibo, ma non il loro - quello dei turchi- bensì il nostro. Mi spiego con l'esempio che ho fatto a tavola con alcuni. Se avete un amico che vi viene a trovare da lontano, immagino lo inviterete a casa per fargli assaggiare i piatti tipici della vostra terra; poi l'indomani qualcun altro lo inviterà magari nel miglior ristorante della città perchè possa gustare le pietanze che rappresentano la vostra zona. Insomma c'è il rischio che in tre giorni mangi sempre le stesse cose e pensi che da voi si mangi solo questo: invece ovviamente no! L'Italia è ricchissima di varietà in cucina e le altre nazioni forse non sono alla stessa altezza per il numero di proposte ma non possiamo pensare che in Turchia esista solo il Kebab e loro a casa mangino solo quello! E invece è quel che è stato detto al terzo giorno di kebab servito col piccolo peperone ripieno di riso alle spezie, il riso pilav, l'insalata di cetriolo. Accidenti è un viaggio turistico e non di avventura quindi ti portano in luoghi sicuri, puliti (Istanbul è una città comunque molto pulita, per terra non ci sono cicche e cartacce, tutte le sere lavano le strade con la manichetta dell'acqua). Persino la sera in cui, ospiti di una famosa associazione d'elite, abbiamo cenato in uno dei ristoranti del centro storico più famosi della Turchia (non solo di Istanbul), frequentato dai turchi e non dai turisti, abbiamo mangiato il kebab: questa volta di due tipi di carne, agnello e pollo, con il solito peperone ripieno e un pò piccante e tutto il resto. Peraltro buonissimo! Per fortuna due eccezioni al solito kebab sono stati due ottimi pranzi in cui ci sono stati proposti: cozze ripiene di riso aromatico, focaccine, pesce alla griglia, antipasti con formaggio e fagioli, verdure, acciughe al verde, la pizza al kebab (carne arrosto macinata), bulgur al pomodoro, melanzane ripiene di carne e aromi, la pasta sfoglia col formaggio (tipo focaccia di Recco) e il dolce di noci e pasta sfoglia, e altre cosine sfiziose. Certo può non piacere, ricordiamo che noi amiamo i sapori che abbiamo conosciuto da bambini. Ma TUTTO E' BUONO nel mondo: basta esserci abituati. Noi siamo abituati ai nostri sapori e gli altri ai loro e quei sapori derivano dal tipo di prodotti che si trovano su quelle terre e che quelle popolazioni hanno imparato a rendere commestibili. Nulla è MIGLIORE DELL'ALTRO: dipende dai gusti. Io assaggio, cerco di capire e poi torno dai miei gusti di casa, a volte ben felice e altre volte col desidero di assaporare ancora quei piatti appartenenti ad altri gusti. Fate un giro sul sito del ristorante e guardate anche il tipo di decoro e arredamento: là una pizza avrebbe proprio cambiato sapore.
http://www.babihayat.com/index.php

mercoledì 2 dicembre 2009

MAIONESE GELATINATA

Preparate della gelatina usando comodamente i dadi appositi oppure i fogli di colla di pesce, seguendo le istruzioni e lasciatela a raffreddare fuori dal frigo. Quando sarà tiepida ma ancora perfettamente liquida mescolatela a cucchiaiate alla maionese - va benissimo quella della vostra marca preferita se non volete prepararla a mano - che avrete posto in una ciotola. Probabilmente avrete preparato più gelatina di quel che serve, quindi potete usare la rimanenza in altro modo. Il miscuglio deve risultare liquido ma non troppo, deve avere il colore della maionese, insomma la maionese deve essere in maggior quantità. Lo versate poi in stampini singoli, vanno bene anche quelli di alluminio che saranno comodi da svuotare, oppure in uno stampo unico magari con una forma particolare oppure in una forma rettangolare semplice, per poi tagliarlo a quadretti per servirlo. Mettetelo a solidificare in frigo. Potete fare varianti aggiungendo del prezzemolo tritato o altro per dare non solo gusto ma anche decorazione interna. Poco prima di servirla rovesciare le singole porzioni, come fossero piccoli budini, oppure lo stampo unico. E' ideale per il pesce ma anche per le verdure o il bollito. Volendola preparare per i pranzi delle Feste consiglio di fare prima una prova, in modo da capire la quantità di gelatina da aggiungere, non solo per la capacità di far stare "in  piedi" la maionese ma anche a seconda dei gusti.

MIGLIORARE L'ALIMENTAZIONE IN "TOT" LEZIONI- QUARTA LEZIONE

Se non siete abituati a far colazione: ABITUATEVI!

Cominciate col mangiare un biscotto o una fetta biscottata da domattina per una settimana, oltre al solito caffè o the. Col tempo il corpo si abitua e ve lo chiederà, se non lo farete. E' normale che tutto d'un botto non si riesca a fare una colazione da inglesi. Oddio, non è vero neppure questo, perchè quando andate al villaggio vacanze o in crociera o in montagna guarda caso ci riuscite. Voi mi direte: e certo, sono in vacanza! Siete dei polli: mangiate tanto quando non avete nulla da fare e non mangiate quando sottoponete l'organismo a ore di concentrazione in ufficio o a scuola e magari ore di fatica in un lavoro manuale o in palestra?
Quindi cominciate con una spremuta e un biscotto in più rispetto al NULLA di sempre, dopo una settimana aggiungete qualcosa, tipo altri biscotti o fette biscottate. In questo modo vi abituerete un pò per volta e eviterete il crampo allo stomaco che arriva puntuale tra le undici e l'una, spingendovi a trangugiare LA PRIMA cosa che trovate. ATTENZIONE: questo esercizio servirà anche dopo le famigerate Feste, quindi cominciate subito!

lunedì 30 novembre 2009

STRUFFOLI di donna Emma Donnarumma


Impastare 500 grammi di farina con 3 uova, 2 cucchiai di zucchero, 25 grammi di sugna o burro, la buccia grattugiata di mezzo limone, la buccia grattugiata di un’arancia, un cucchiaio abbondante di brandy o alcool puro. Lavorare la pasta a lungo, poi farla riposare per 30 minuti. Ricavare dalla pasta dei filoncini piuttosto sottili e tagliarli a pezzetti di mezzo centimetro. Friggerli, pochi per volta, in abbondante olio bollente, scolarli e metterli su carta assorbente. Intanto mettere in una pentola 250 grammi di miele, 100 grammi di zucchero, un cucchiaio di acqua, bucce di arance, limoni e mandarini. Portare ad ebollizione e far cuocere a fuoco medio per qualche minuto. Versare gli struffoli nella pentola, girarli più volte, finchè non assorbono il miele. Unire frutta candita a piacere (cocozzata, cedro, scorzette di arancia candita) tagliata a pezzettini. Togliere la pentola dal fuoco e versare gli struffoli in un piatto inumidito con acqua e con le mani bagnate dare loro una forma a ciambella. Cospargere di confettini colorati (diavolilli).

STRUFFOLI PIU' MORBIDI
500 grammi di farina, 4 uova, 50 grammi di burro, 5 cucchiai di zucchero, mezza bustina di lievito pan degli angeli, limone e arancia grattugiata, alcool puro o strega o goccia d’oro. Procedere come nella ricetta precedente.

domenica 29 novembre 2009

MIGLIORARE L'ALIMENTAZIONE IN "TOT" LEZIONI- TERZA LEZIONE

NON SI INGRASSA DA NATALE A CAPODANNO MA DA CAPODANNO A NATALE!
Ecco ci siamo quasi: tra poco scatta la gara a chi ingurgita la maggior quantità di calorie inutili nel minor tempo possibile. Quindi, già temendo di non essere in grado di resistere ala partecipazione alla terribile gara, si cominciano a fare strategie pre-abbuffata. Il PRIMO ERRORE è quello di dare per scontato che nel periodo natalizio si debba mangiare di più a tutti i costi. Vi ricordo che nulla vieta a chi si nutre normalmente di mangiare un pò di più in un giorno di festa. Ma quanti sono 'sti giorni di festa?? Calendario alla mano: Natale, Santo Stefano, l'ultimo dell'anno, Capodanno, la Befana più (quest'anno) domenica 27 e domenica 3 gennaio. SETTE GIORNI! Gli altri sono normali. Affronteremo più avanti quei giorni. Ora pensiamo a questi 25 giorni che restano prima dellle Feste. Il SECONDO ERRORE è quello di mettersi a digiunare già da ora, arrivando al 25 (ma magari già al17) con una fame terrificante, non solo per necessità fisiologica, ma per stress da continuo pensare che sono la tipica espressione del "pensare da grasso".
Quindi: da domani AUMENTARE il consumo di frutta e verdura
                                   DIMINUIRE SOLO UN PO' il consumo di pasta e pane
                                  ELIMINARE il più possibile i dolci e gli alcoolici (a meno che non siate invitati a compleanni o feste in cui non ci si può esimere dal festeggiare una persona con una fetta di torta e un bicchier di vino)
A tra pochi giorni. FATE I COMPITI!
(immagine: fotosearch.it)

sabato 28 novembre 2009

PANDOLCE GENOVESE - 2

Ingredienti: 1 kg farina, mezzo bicchiere vino bianco amabile, 250 gr burro, 50 gr acqua di fiori d'arancio, 250 gr zucchero, 50 gr finocchio, 100 gr pinoli, 500 gr uvetta, 50 gr cedro candito, 50 gr lievito di birra, qualche cucchiaio di latte. Preparazione: porre la farina a fontana, versarvi al centro il lievito stemperandolo con le mani in qualche cucchiaiata di latte tiepido. aggiungere il burro sciolto, l'acqua di fior d'arancio, il vino vianco, lo zucchero. impastate a lungo indi incorporare il finocchio, i pinoli, l'uvetta e il cedro candito a dadini. Dargli la forma di mezza sfera; porlo in una teglia imburrata, coprirlo con un tovagliolo e lasciarlo lievitare per due ore. Praticare sulla sommità tre tagli in modo da formare un triangolo e cuocere in forno caldo per circa un'ora. Il pandolce si porta in tavola il giorno di Natale con in mezzo un rametto di alloro. Il taglio del dolce spetta al componente più anziano della famiglia e la prima fetta viene donata al più giovane.
(foto da: ilnostroricettario.blogspot.com)

Ecco ora il link all'esecuzione dal vivo di Poldo famosissimo pasticcere genovese:

giovedì 26 novembre 2009

PANDOLCE GENOVESE - 1


Per chi volesse cimentarsi nel dolce tradizionale genovese ecco la ricetta più lunga ed impegnativa, anche per gli spazi, tratta dalla "Cuciniera del Rossi" di metà 1800. Se volete, come era d'uso, prepararlo anche come regalo consiglio di fare almeno una prova prima di cimentarsi con quello definitivo. Si tratta infatti di una ricetta che è spesso "ribelle" per le mani meno esperte: unavolta brucia fuori e resta mezzo crudo dentro, un'altra volta gli ingredienti si ammucchiano da una parte, altre volte resta troppo asciutto e via dicendo.
Ecco allora la versione di un secolo fa: <Prendete due chilogrammi di buona farina di frumento, ponetela sulla madia in un mucchio, formatevi un buco in mezzo e versatevi un bicchier d'acqua in cui avrete fatto sciogliere 150 gr di lievito; impastate la parte liquida con porzione della farina fino a che avrete formata una pasta assai dura; coprite questa col rimanente della farina, ponetevi sopra un foglio di carta e addosso a questo una coperta di lana e lasciate così in riposo la pasta per circa 8 ore. Dopo ciò scopritela, impastatela col rimanente della farina mercè un altro poco d'acqua tiepida ed unitevi in pari tempo 150 gr di zucchero in polvere, 3 ettogrammi di burro liquefatto, un bicchierino di vino di marsala e una cucchiaiata d'acqua di fior d'arancio, mescolando e manipolando assai bene il tutto: finalmente aggiungetevi 50 gr di uva passola bianca di Smirne, 30 gr di pistacchi mondati, 40 gr di pinoli e 10 gr di anici e seguitate ad impastare finchè abbiate ottenuto una pasta soffice e uniforme. Allora formatene un pane che fascerete all'intorno con una salvietta a guisa di turbante affinchè la pasta non si schiacci troppo e lasciate lievitare per altre 12 ore, avvertendo che se facesse molto freddo sarebbe necessario mettere la pasta in una stanza alquanto calda. Finalmente liberate il pane dalla salvietta e fatelo cuocere al forno.>
Come vedete questa ricetta è persino folkloristica al giorno d'oggi ma per gli appassionati di cucina tradizionale è sicuramente un esercizio di stile da provare. Vi garantisco che a Genova ancora oggi qualcuno il pandolce lo fa così, col vantaggio di avere case ben più calde di un tempo ma con lo svantaggio di dover trovare il posto per la lievitazione (il marito di una mia amica anni fa aveva rovinato tutto sedendosi sulla sua poltrona preferita, senza essere stato avvertito in tempo).
Vi prometto la versione moderna al più presto.
(foto pandolce: ciao.it)

mercoledì 25 novembre 2009

INSALATA DI CAVOLFIORE


Pulire il cavolfiore, eliminando le foglie e il gambo, lasciandolo però intero se piccolo o tagliato a metà se grande. Porlo in una casseruola con due dita d'acqua e un pò di sale; cuocere coperto in modo che sia come cotto a vapore, eventualmente aggiungere l'acqua se si asciuga. Toglierlo dalla casseruola quando è cotto ma ancora consistente e delicatamente dividere le cimette lasciandole però integre il più possibile, eventualmente tagliandole a metà se troppo grosse. In una ciotola condire il cavolfiore, appena è tiepido, con una citronnette arricchita con pasta di acciughe (oppure: sale, olio, limone e filetti di acciuga spezzettati), olive nere (ma anche verdi vanno bene) e se non siete a dieta stretta un cucchiaio di salsa tonnata. Servire a temperatura ambiente. Se lo volete conservare, non conditelo subito tutto, meglio farlo al momento.
(immagine: buttalapasta.it)

ANCORA SULLA PAUSA PRANZO IDEALE - Silvia Salomoni intervista Martino Ragusa


Martino è psichiatra, per questo abbiamo parlato con lui della pausa pranzo, un momento cruciale nella giornata di tutti i lavoratori, sia dal punto di vista nutrizionale, che psicologico e relazionale.
Martino: La pausa pranzo, a parte l'aspetto nutrizionale, ha un importante valore psicologico. Per questo dovrebbe somigliare il più possibile a un "ritorno a casa", essere cioè uno stacco reale, sia fisico che mentale utile a ricaricare le energie. Va da sé che, specialmente nella stagione fredda, dovrebbe essere un piatto caldo consumato seduti e lentamente. Un pasto simile è qualcosa che "ricrea" proprio nel senso etimologico del "creare di nuovo", preparando al pomeriggio con più vitalità.
S: Però il tempo è sempre centellinato, cosa si può fare?
M: Sono un sostenitore dei 20/30 minuti di ri-creazione in più oltre al tempo strettamente necessario a quello dedicato al pasto. Un tempo supplementare di distacco dal lavoro che va oltre a quello necessario per mangiare, da riservare a sé stessi prima o dopo il pasto. Sarei disposto ad arrivare 20 minuti prima, o a tornare a casa 20 minuti dopo, pur di poter godere di questo tempo dedicato a sé, utile a ricaricare le batterie in vista del pomeriggio. Tempo per fare cosa? Anche la pennichella, se è questo ciò di cui si ha bisogno. Oppure leggere qualche pagina di un libro in santa pace, o il giornale, ascoltare un po' di musica, fare una corsetta o un po' di cyclette, conversare con i colleghi o fare una telefonata privata in pace, anche recitare il rosario se uno è credente... Insomma, un tempo libero che incoraggi la fuga dal ruolo, che ricostruisca in miniatura l'effetto di distacco e di ricarica che dà la vacanza o il weekend, e che quindi faccia tornare al lavoro con anche un pizzico di desiderio.
S: Pensi che sia possibile?
M: E' una sfida da lanciare alle gradi aziende, che potrebbero prevedere degli spazi comuni diversi da quelli del lavoro e del pranzo. Dove ci siano delle poltrone comode per il risposo, oppure degli attrezzi sportivi, a seconda delle esigenze. Come a recuperare l'idea della ricreazione scolastica: è vero che i bambini sfruttano quel tempo per fare merenda, ma non è un caso che poi giochino, così come gli adolescenti flirtano, o tirano quattro calci a un pallone...
S: Questo avrebbe un influsso positivo anche sulla produttività, giusto?
M: Certamente, perché ci libererebbe dall'idea mitica del lavoro come punizione inflitta ad Adamo, verso la sponda più gratificante di un uomo felicemente faber, attivo e costruttore. Non si può applicare a un'entità complessa fatta di psiche e corpo come l'uomo il principio "sacco vuoto non sta in piedi"... Non siamo solo contenitori da riempire!
Vediamo ora qualche dato e qualche consiglio sulla pausa pranzo in Italia, oggi.
Il simbolo della pausa pranzo è ancora il panino? A giudicare dai 500 milioni di panini consumati ogni anno nei bar italiani sembrerebbe di sì... Eppure cresce la consapevolezza che un'alimentazione varia e appropriata sul lavoro sia il presupposto per fare di più e meglio. A prescindere dal grado di fatica e dal tipo di sforzi che richiede la propria occupazione, la regola che vale per tutti è la necessità di staccare la spina. Mangiare in ufficio davanti al computer (il cosiddetto "desk eating"), in spazi improvvisati ricavati nei cantieri, o ancora peggio in piedi nei paraggi della propria postazione è sempre sconsigliabile. Il pasto corretto richiede almeno 30 minuti, meglio se in un luogo dedicato che lo renda anche un momento di socializzazione e di riposo. La fretta e lo stress sono nemici del metabolismo e della produttività. Mangiare troppo velocemente, in preda all'ansia, o in piedi, ostacola la digestione e dà un senso di sazietà precario destinato a innescare reazioni a catena di spuntini e snack durante tutto il pomeriggio, poco raccomandabili per linea e salute.
Vediamo alcuni accorgimenti più o meno ovvi per sopravvivere nei giorni feriali: intanto è opportuno non saltare la colazione, piuttosto è meglio svegliarsi un po' prima, o portarla con sé sul lavoro. Il rischio altrimenti è arrivare all'una con i crampi allo stomaco, emicrania, spossatezza... Se non si è ceduto prima allo spuntino di metà mattina. Questo, comunque, non è da incriminare in toto: un caffè può essere utile a infondere un po' di energia, ma non deve diventare il primo di una serie infinita. Meglio optare per un frutto, tenendosi a debita distanza dai distributori automatici gremiti di "junk food". Stesso ragionamento vale per la merenda pomeridiana: cioccolatini e caramelle sulla scrivania sono tentazioni pericolose. Più innocui ad esempio uno yogurt, dei biscotti secchi o delle gallette di riso. Ma passiamo al pranzo vero e proprio: il fabbisogno di calorie che un adulto deve introdurre con il pranzo è tra le 600 e le 800 (cioè il 30/40% del fabbisogno giornaliero). Le chances a disposizione per la pausa pranzo sono varie: chi non riesce a tornare a casa (la maggioranza dei lavoratori italiani) si ferma al bar, al ristorante (magari convenzionato), in mensa, al self service, o nei chioschi lungo la strada. Alternare i luoghi e le modalità sarebbe positivo, ma spesso non è possibile.
Tra le soluzioni possibili abbiamo scoperto anche un servizio di catering di alto livello che a Milano consegna dei menu completi e molto articolati direttamente negli uffici, via pony express, prenotando e ordinando tutto quanto su internet. Sul cosa ordinare bisognerebbe sempre tenere presente che i pasti ipercalorici appesantiscono senza placare del tutto il senso di fame. Dove possibile, optare per un piatto piuttosto che un panino, ma facendo attenzione ai condimenti. Le scelte più raccomandabili sono una pasta al pomodoro e basilico, o un secondo di pesce o carne cotti ai ferri, al vapore, con un filo di olio di oliva. Nemmeno le famose insalatone sono del tutto innocue: sì alle verdure fresche crude o cotte, ma no ai mix esplosivi di ingredienti tra loro diversissimi (vedi wurstel, tonno, mozzarella, uovo sodo, prosciutto, formaggio...). Se panino deve essere, che almeno non sia unto, o troppo grasso.
È sufficiente evitare salse come maionese, senape o ketchup, preferendo pane comune o integrale ai sandwich burrosi. Inutile dire che a fare la differenza è la farcitura, sceglietela leggera: prosciutto crudo magro, bresaola, o arrosto di tacchino sono meglio di salami e altri insaccati più grassi, o cotolette. In ogni caso, è sempre bene accompagnare il panino, il primo, o il secondo caldo con delle verdure (in insalata, grigliate, o bollite) e/o della frutta, alimenti che apportano fibre, vitamine e minerali.
(articolo da: http://www.ilgiornaledelcibo.it/; immagine dal web )

lunedì 23 novembre 2009

La pausa pranzo, "Un rito che blocca tutta l'Italia" di GIOVANNI GAGLIARDI


per www.Repubblica.it (23 novembre 2009).
Secondo Rotondi, ministro per l'Attuazione del programma di governo si auspica un cambio di abitudini: "Un quarto dei tedeschi mangia lavorando. In Inghilterra molti rinunciano o la riducono. Bonanni (Cisl): "Dia l'esempio, non vada alla buvette e i lavoratori lo seguiranno"

ROMA - "La pausa pranzo è un danno per il lavoro, ma anche per l'armonia della giornata. Non mi è mai piaciuta questa ritualità che blocca tutta l'Italia". Ne è convinto Gianfranco Rotondi, ministro per l'Attuazione del programma di governo ospite del programma tv web 'KlausCondicio'.
"Non possiamo imporre ai lavoratori quando mangiare - afferma il ministro - ma ho scoperto che le ore più produttive sono proprio quelle in cui ci si accinge a pranzare. Chiunque svolga un'attività in modo autonomo, abolirebbe la pausa pranzo. Casomai sarebbe meglio distribuirla in modo diverso, come avviene negli altri Paesi". "In Germania, ad esempio, per incentivare la produttività - nota Rotondi - la pausa pranzo in alcuni posti di lavoro dura mezz'ora, mentre si estende a 45 minuti per chi lavora oltre le 9 ore. Tuttavia, secondo un recente sondaggio, un quarto dei tedeschi trascorre la propria pausa pranzo lavorando. Anche in Inghilterra molti dipendenti vi rinunciano o la riducono, sia nei minuti che nel numero di pause nel corso dell'intera settimana". "Negli ultimi due anni - ha concluso il ministro - si è scesi da una media di 3,5 pause a settimana del 2006 a 3,3 nel 2008. Addirittura meno di 3 per le donne. In Francia lo statuto dei lavoratori riconosce 20 minuti ogni 6 ore, mentre in America la pausa pranzo non è proprio prevista dalla legge federale ed è regolamentata autonomamente dai singoli Stati, mentre in Canada e Svezia si pranza davanti alla scrivania". La precisazione. Più tardi il ministro, con una nota, chiarisce il suo pensiero: "Non ho fatto nessuna proposta di abolire la pausa pranzo, ho solo detto a un giornalista che io l'ho abolita da vent'anni e lo stesso consiglio alla Camera dei Deputati, perché quella è l'ora in cui si lavora meglio. Si capisce che i lavoratori devono avere le loro pause e devono mangiare, magari sarebbe utile che ognuno si gestisse questa pausa come crede, ma è chiaro che è impossibile". La replica. Pronto il commento del segretario della Cisl Raffaele Bonanni: "La pausa pranzo dove, nei cantieri edili? Nei campi? I lavoratori quando pranzano, lo fanno in maniera molto frugale, quasi sempre un panino o qualcosa del genere. Se Rotondi vuole dare il buon esempio, lo dico con simpatia, non vada più alla buvette e i lavoratori italiani ne seguiranno l'esempio", ha detto Bonanni ai microfoni di Cnrmedia. "Il paragone con gli altri Paesi è fuorviante - ha continuato Bonanni - qui in Italia non ci sono le mense. Non ci sono a scuola, non ci sono nel pubblico impiego. E dove ci sono hanno un massimo di 800 calorie, quindi decisamente leggere. Infine, io negli Stati Uniti ci sono stato più volte e ho sempre visto i lavoratori usufruire della pausa pranzo". La contro-replica. "Non vado alla Buvette, non pranzo da anni ma non mi sogno di entrare in conflitto coi legittimi diritti dei lavoratori - ha risposto il ministro -. Certo, se fosse possibile rinunciare alla pausa pranzo e uscire un'ora prima se ne avvantaggerebbero la produttività e la famiglia del lavoratore". Successivamente è intervenuto anche il segretario della Uil Luigi Angeletti: "Ovviamente mi sembra una cosa molto curiosa si vede che non ha esperienza diretta di un lavoro di otto ore di seguito in azienda, fabbrica o ufficio dove le persone non possono gestirsi tempo o lavoro. In certe condizioni dire ognuno fa come gli pare è una battuta, semplicemente perché non si puo fare. La pausa - ha spiegato il sindacalista - è necessaria per motivi fisiologici e biologici. Dove si lavora a turno si fa la pausa a fine orario, consentendo a chi lavora di uscire prima o entrare dopo. In altri casi ci sono pause durante l'orario di lavoro. E' bene lasciare fare alle persone interessate nei limiti permessi dall'organizzazione del lavoro". "Mangiare sul luogo di lavoro è una necessità non una scelta - ha continuato Angeletti - Sono pochi gli italiani che possono permettersi di mangiare a casa. I più fortunati hanno la mensa quindi mangiano sul luogo di lavoro, ma milioni di persone non hanno la mensa, e non per scelta, quindi sono costretti a mangiare un panino usando i ticket. Ci sono 17 milioni di persone - ha concluso Angeletti - sono lavoratori dipendenti e non possono organizzarsi a loro piacimento. Bisogna esserci passati per saperlo".

GNOCCHI ALLA TREVISANA E GORGONZOLA


Mentre va ad ebollizione l'acqua per gli gnocchi, metere in una padella un pò d'olio e un pò di burro (poco) e farvi appassire leggermente il radicchio trevisano tagliato a listerelle sottili. Dopo due minuti, dovrebbero più che bastare, spegnere il fuoco e mettere nella padella del gorgonzola tagliato a pezzi e coprire col coperchio in modo che si sciolga senza cuocere. A questo punto saranno pronti gli gnocchi che leverete dalla pentola con un mestolo forato e metterete immediatamente nella padella. Mescolate velocemente, anche senza scaldare se il sughetto è ancora tiepido, e servite subito.
(immagine: ricetteincucina.net)

venerdì 20 novembre 2009

SCIENZA IN CUCINA: MONTARE LA PANNA


Voi direte: e che ci vuole? Qui troverete le spiegazioni scientifiche ad un gesto in apparenza semplice.
Nella panna il grasso è sotto forma di globuli: “sferette” di diametro di qualche millesimo di millimetro. Ogni globulo è circondato da una membrana di proteine, fosfolipidi, trigliceridi e colesterolo. La membrana ha il duplice scopo di mantenere il grasso in soluzione, attraverso le proprietà emulsionanti dei fosfolipidi, e di proteggere la degradazione dei grassi dagli enzimi. Iniziando a montare la panna, la frusta incorpora nel liquido delle bolle d’aria. L’agitazione causa la coalescenza parziale dei globuli di grasso. Le bolle d’aria vengono stabilizzate dai globuli di grasso aggregati che si pongono all’interfaccia tra l’aria e l’acqua. Continuando a montare le bolle d’aria si rompono e diventano più piccole, e cominciano ad associarsi tra loro sempre per effetto dei globuli di grasso, iniziando a dare rigidità alla struttura. Proseguendo la montatura tutte le bollicine d’aria ricoperte di grasso si uniscono formando una struttura semi rigida. E’ cruciale che il grasso rimanga parzialmente cristallizzato per evitare la coalescenza totale dei globuli in un unico ammasso, e quindi è necessario operare a bassa temperatura. Nel Disegno: bolle d’aria stabilizzate dai globuli di grasso si aggregano e formano una struttura tridimensionale. Le “bacchette” rosse rappresentano i cristalli di grasso. Il giallo il grasso libero allo stato liquido. Se la montatura procede troppo a lungo il grasso si aggrega in particelle troppo grandi e si separa il burro. Il parametro più importante per montare la panna è sicuramente la temperatura: la panna va montata fredda, possibilmente tra i 2 °C e i 6 °C. I frigoriferi domestici solitamente sono tarati per mantenere una temperatura, nei ripiani più freddi, di 4 °C, quindi abbiate cura di tenere la panna in frigorifero prima di montarla. Questo vale ovviamente anche se usate la panna a lunga conservazione UHT che non viene normalmente conservata in frigorifero. Il freddo è necessario perché, come abbiamo visto prima, i globuli di grasso devono unirsi, allo stato parzialmente solido, per poter circondare le bolle di aria. La panna non va assolutamente congelata, perché questo danneggia irreparabilmente la membrana dei globuli di grasso, compromettendo la montabilità.
Non aggiungete acidi (come succo di limone): non state montando gli albumi! (E’ vero che una leggerissima acidificazione può aiutare a montare, ma il rischio di alterare il sapore aggiungendo troppo acido è elevato, e la panna monta benissimo anche senza acidi)
La caratteristica della panna che più influenza la sua montabilità è sicuramente la percentuale di grassi contenuti. Più è alta questa percentuale e minore è il tempo necessario per montarla. La panna contenente il 25% di grassi richiede 9 minuti di battitura, mentre solo un minuto e mezzo basta per montare della panna al 42% di grassi.
La consistenza finale della panna montata procede di pari passo con la percentuale di grassi: più è alta e più la schiuma finale è ben ferma e stabile. Diminuendo i grassi diminuisce anche la stabilità del prodotto finale, che tende dopo un certo tempo a perdere liquidi e a sgonfiarsi.
Il volume di aria incorporato invece non si comporta linearmente: aumenta con la percentuale di grassi, ma solo sino ad un certo punto. Oltre il 33% di grassi (circa) il volume di aria incorporata diminuisce drasticamente. Gli autori dello studio sostengono che per ottenere un volume massimo la percentuale di grasso dovrebbe essere tra il 30% e il 34%.
In generale più alta è la temperatura raggiunta dalla panna durante il trattamento termico e meno velocemente monta. Quindi la panna pastorizzata, trattata a 74 °C per 18 secondi, monta più lentamente di quella cruda, ma più velocemente della panna UHT che è trattata per pochissimi secondi a circa 150 °C.
La panna UHT deve durare sugli scaffali a lungo e per evitare un affioramento del grasso deve subire un processo di omogeneizzazione drastico a pressioni elevate. Questo è causa di una minore montabilità della panna UHT, a causa di una parziale denaturazione delle proteine del latte che aiutano la fase iniziale della montatura e al fatto che se i globuli di grasso diventano troppo piccoli non ci sono abbastanza proteine e fosfolipidi per circondare il grasso. Per ovviare a questo problema alcuni produttori aggiungono degli additivi (niente di velenoso, non preoccupatevi, a volte sono semplicemente proteine del latte) per aumentare la montabilità
Ricapitolando quanto abbiamo detto: per montare la panna perfettamente
•la temperatura deve essere tra 2 °C e 6 °C
•la percentuale di grasso tra il 30% e il 34%
•meglio usare panna fresca (pastorizzata se possibile in modo blando). Non c’è motivo di usare la panna UHT a meno che quella fresca non sia proprio disponibile.
•usate panna appena prodotta, preferibilmente con solo un giorno di maturazione (ma questo è possibile solo per chi vive in campagna con le mucche).

MIGLIORARE L'ALIMENTAZIONE IN "TOT" LEZIONI- SECONDA LEZIONE



Il compito dei prossimi giorni per voi sarà quello di fermarvi a pensare ogni volta che sentite il bisogno di mangiare. Basta farsi questa semplice domanda: ho VERAMENTE fame, perchè sono parecchie ore che non mangio, oppure HO VOGLIA di mangiare qualcosa anche se è trascorso poco tempo dall'ultimo pasto decente?
Ricordate che il bisogno FISIOLOGICO  di cibo dovrebbe sempre essere assecondato, mentre LA VOGLIA porta ad un consumo superfluo, per quanto gratificante. Quest'ultima può essere sostituita con azioni di tipo diverso rispetto al mangiare: uscire con amici, guardare un bel film, fare attività fisica, fare lavoretti piacevoli in casa o giardino...

martedì 17 novembre 2009

DOLCE STEVIA CONTRO L'ASPARTAME (estratto di un articolo di Sepp Hasslberger)

Nel 1965 il chimico James Schlatter, lavorando per la G.D. Searle, nel tentativo di formulare un farmaco contro le ulcere allo stomaco combinò due aminoacidi: l'acido aspartico e la fenilalanina. Si accorse che il miscuglio era dolce e, sebbene non era questa l'intenzione, aveva scoperto una sostanza dal potenziale miliardario. Da allora fino al 1983, l'FDA si oppose alla messa in commercio di questo dolcificante che oggi si conosce col nome 'aspartame'. Pressioni politiche messe in moto da Donald Rumsfeld, già presidente della Searle trasferitosi a Washington durante la presidenza di Reagan, misero a tacere gli scienziati che avevano espresso dubbi e così nacque un business miliardario.
Oggi l'aspartame si trova in migliaia di prodotti dalle marmellate per diabetici alle bibite 'light', cioè con poco zucchero, dai biscotti senza zucchero alla polverina che aggiungiamo al caffè. Problemi che gli scienziati dell'FDA avevano notato, già emersi negli studi clinici, erano attacchi epilettici, cancro al cervello e morte degli animali. Nei primi anni di uso dell'aspartame le lamentele per gli effetti collaterali dell'aspartame erano tantissime. L'FDA, invece di togliere il prodotto dal mercato, smise di accettare le segnalazioni e negò in modo categorico che l'aspartame potesse avere qualsiasi effetto dannoso.
In Europa, l'approvazione per l'uso dell'aspartame era abbastanza facile. L'FDA è come il fratello maggiore per le nostre autorità sanitarie. Con studi truccati e con l'aiuto di pagamenti a qualche scienziato compiacente, l'Inghilterra l'approvò per prima. Quando la Monsanto, che aveva comprato la G.D. Searle, disse che il dolcificante era già approvato negli USA e nell'Inghilterra, gli altri paesi, incluso l'Italia, non ebbero scelta. Approvarono l'uso del dolcificante. Si ebbe così un'epidemia di problemi psichiatrici, un'aumento delle malattie cardiache, un vero boom del diabete e dell'obesità.
Nell'anno 2000 si portò la problematica dell'aspartame all'attenzione dell'allora ministro della Sanità Veronesi. La risposta faceva riferimento all'approvazione dell'aspartame da parte della Comunità europea, la quale si riferiva all'FDA e agli studi finanziati dai produttori. L'aspartame è tuttora in commercio.
La stevia rebaudiana, pianta nativa delle foreste amazzoniche è conosciuta per le sue foglie dolci. E pare che, nonostante il suo gusto zuccherino, non disturbi il metabolismo dei zuccheri di chi la consuma. Il suo estratto è fino a 300 volte più dolce dello zucchero. Ne basta pochissimo per dolcificare il caffè o il tè.
Ai tempi dell'approvazione dell'aspartame, la stevia era un concorrente scomodo e bisognava eliminarla. Negli USA, la Food and Drug Administration, da sempre favorevole alle grandi industrie, vietava l'uso della stevia come dolcificante. L'estratto rimaneva disponibile come supplement (integratore alimentare) ma il suo uso fu effettivamente limitato perché non poteva essere venduto come dolcificante.
In Europa, non era facile far vietare la stevia, ma con grande ingenuità, si trovò il metodo per farlo. Si seminarono "dubbi scientifici" sulla sicurezza della stevia nei comitati scientifici europei e nazionali e presto alcuni paesi vietarono il suo uso. L'Italia lo fece nel 1985 (due anni dopo l'approvazione dell'aspartame in USA) con una circolare a firma del ministro della Sanità Degan. L'ordine ministeriale vietava la vendita "di edulcoranti costituiti od estratti dalla pianta aromatica stevia rebaudiana" e ordinava il sequestro "dei prodotti rinvenibili in fase di commercio".
L'Europa però è grande e andare paese per paese a far vietare una sostanza scomoda era un'impresa faticosa, perfino per un gigante come la Monsanto. Bisognava trovare un'altro metodo.
Sempre nel 1985 ebbe inizio il maggiore scandalo alimentare di tutti i tempi in Europa, quello della malattia della mucca pazza. Lo scandalo coinvolse la Commissione europea, accusata di non aver agito in tempo per fermare la nuova peste delle mucche. In seguito, tutta la Commissione fu costretta a dare le dimissioni e, per "non ripetere mai più" questa esperienza, l'Europa cominciò a emettere nuove leggi restrittivissime.
Una delle nuove leggi necessarie per impedire che uno scandalo simile si ripetesse era una legge per vietare la commercializzazione di qualsiasi alimento che non poteva già vantare una lunga tradizione di vendita in Europa. Altre leggi restrittive che seguirono erano la direttiva sugli integratori alimentari e la direttiva sull'uso delle erbe curative. L'effetto di queste leggi era di fermare qualsiasi innovazione nel campo dell'alimentazione e della salute. L'approvazione di un nuovo alimento, di un ingrediente da usare negli integratori o di un'erba salutare adesso richiedeva una serie di studi scientifici simili a quelli necessari per approvare un medicinale. Nessuna di queste leggi avrebbe mai visto la luce se non nel clima generalizzato di paura e imbarazzo che seguiva lo scandalo della mucca pazza.
Ma l'estratto di stevia, fatto in Brasile, era ancora disponibile in diversi paesi europei e stava per conquistarsi una fetta del lucrativo mercato dei dolcificanti. Dopo anni di discussioni tra industria, Commissione europea e parlamento europeo, il regolamento sugli alimenti 'nuovi' fu approvato nel mese di gennaio 1997. Poco dopo, la questione della stevia come dolcificante in alternativa allo zucchero fu nuovamente sollevata. La Specchiasol di Verona si rivolse al comitato scientifico per gli alimenti, l'organismo che valutava la sicurezza degli alimenti. Dopo due anni di delibere, nella sua opinione del 17 giugno 1999, il comitato segnalava ancora "dubbi sulla sicurezza" dell'estratto di stevia e si diceva "insoddisfatto della documentazione" fornita. La Commissione europea ha quindi vietato, nel febbraio 2000, la vendita della stevia.
Così la stevia continuava a non essere accettabile come dolcificante in Europa, mentre l'aspartame portava guadagni miliardari alle multinazionali e danni ingenti alla salute degli utilizzatori. Il regolamento sugli alimenti 'nuovi' non consente l'uso di una sostanza se non dopo documentazione medica e tossicologica, consistente di studi clinici e di laboratorio dai costi praticamente inaccessibili che solamente le multinazionali della chimica e del farmaco se lo possono permettere.
Passano alcuni anni e l'aspartame comincia a perdere colpi. La campagna a livello dei consumatori che mette in evidenza la dannosità del dolcificante chimico ha i suoi effetti. La gente comincia a storcere il naso quando sente parlare di aspartame e comincia a evitare le bevande "light". Le vendite delle bevande gassate soffrono. Alcune fabbriche che producono aspartame in Europa chiudono. La Merisant di Chicago, erede della Monsanto che vende l'aspartame sotto il nome "Equal" in tutto il mondo va in bancarotta, schiacciata dai debiti.
E le bevande "light"? Nessun problema, dicono alla Coca Cola Company: abbiamo fatto studi su un estratto di stevia. Il marchio commerciale si chiama Truvia e il nuovo dolcificante è stato sviluppato dalla Coca Cola con l'aiuto del Cargill, multinazionale del grano e degli alimenti industriali e dei farmaci. Anche la Pepsi ha preparato il suo estratto di stevia. Si chiama PureVia ed è simile a quello della Coca Cola. Il business continua. Così in futuro potremo trovare la nostra bevanda light senza aspartame, dolcificata con la stevia.

Sarà solo questione di tempo affinché anche le autorità "scientifiche" europee si renderanno conto che la stevia non era così pericolosa e che era solo un equivoco. O potrebbe essere stata tutta una strategia progettata a tavolino?
(fonte: laleva.org; immagini dal web)