lunedì 21 dicembre 2009

QUESTO E' NATALE: COMPARTIR LA COMIDA (testo e foto di Mario Castiglioni)


Alzi la mano chi di noi abbia mai provato la fame!
Non pretendo quella tragica situazione di chi non abbia toccato cibo da giorni e giorni. Ma neppure quel “certo languorino” che ci assale una volta passata l’ora solita dei nostri lauti pasti. Intendo quindi quella situazione che ci assale imprevista, ci fa sentire lo stomaco vuoto e le membra stanche, una spossatezza generale che ci toglie ogni velleità di fare qualcosa di diverso che non sia il mangiare o ricercare cibo.

Bene, credo che questo, nel nostro opulento mondo occidentale possa capitarci solo per uno sforzo fisico esagerato, magari durante una performance sportiva prolungata.

Una di queste situazioni, prima o poi, coglie tutti quelli che “fanno” il Cammino di Santiago.


Che percorrano a piedi o in bici l’antico percorso di pellegrinaggio verso Compostela, (gli altri modi di viaggiare non c’entrano) si tratta comunque di un impegno lungo e prolungato, appunto. Ed allora il solo modo di evitare di trovarci in crisi irreversibile, è quello di “avere delle scorte”, cioè mangiare sostanzialmente con costanza e abbondanza. Soprattutto la sera, dopo una giornata lunga e faticosa in cui si è consumato un sacco di energie.

Al ristorante, o in autogestione, la regola prima è sempre e comunque “L’importante è che sia tanto, se poi è anche buono, meglio”, come diceva sempre un mio saggio amico.

A questa regola mi sono sempre attenuto nei 20 giorni in cui ho agito come Hospitalero a Granon, a metà strada tra Pamplona e Burgos, attorno al KM. 200 per chi parte da San Jean o Roncisvalle.

La grande particolarità di questo rifugio, per il resto uno dei più spartani di tutto il Cammino, è che la sera TUTTI i pellegrini cenano assieme, con quello che preparano gli Hospitaleri, appunto.

Piccolo inciso, Hospitalero deriva da “ospite” non da ospedale!

Dal 15 Ottobre al 6 Novembre 2009 a cucinare sono stati i miei compagni (prima Vicente e poi Antonio) o io. C’è un paio di ragioni pratiche perché si agisce in questo modo: nel paesino non esistono ristoranti e la cucina del Aubergue è troppo piccola per permettere a 20, 30 pellegrini di organizzarsi per conto loro, come pure avviene in molti luoghi simili. Per non dire di quei giorni estivi in cui si arriva a superare i 50 ospiti per notte!!!

Ma c’è un altro motivo, secondo me molto, ma molto più importante.

Come ricordavo spesso durante il momento di raccoglimento spirituale post cena (e questa è già di per sé una particolarità di Granon, anche se non solo) normalmente nei grandi Aubergue del Cammino ci capita di dormire senza neppure sapere chi sta nel letto accanto al nostro! Qui invece si finisce col conoscersi tutti, almeno un po’: si cena assieme, su una lunga tavolata, non su asettici tavolini in cui al massimo ci ritroviamo in 4 (amici di vecchia data, se va bene connazionali!)

Anche il cibo è uguale per tutti, così per il ricco come per il povero!

Come è bello sedersi accanto ad un Francese, un Tedesco, un Coreano…Una sera eravamo di 13 nazionalità diverse. Ma questo non crea problemi! Qualcuno per tutta la sera rinuncia ad usare la sua lingua madre pur di comunicare col vicino, sconosciuto fino a pochi minuti prima!

Bene, cosa preparare da mangiare per così tante persone di nazionalità, usi e cucine diversi?

Come dicevano i già citati Spartani “Il miglior condimento per il cibo sono stanchezza e fame!”. Come dire che il fisico affamato non fa tante storie. Però, visto che cucinavamo noi, e poi dovevamo anche mangiarlo quello che avevamo preparato, tanto valeva farlo bene!

Certo, se avessimo dovuto accontentare tutti i gusti sarebbe stata dura!

Quindi il “menu tipo” era questo: Due crostoni per rompere il ghiaccio (quando arrivano in tavola i piatti di portata nessuno vuole mai essere il primo a servirsi) una enorme insalata mista, un “piatto forte”, ed una ricca macedonia.  Abbondanti tutte le portate, senza strafare.

Ma mai scarsi, il piatto forte (pasta, riso, lenticchie, patate,…) veniva calcolato sulla base di 100 grammi per ogni commensale. Alcune sere riusciva un poco troppo abbondante,ma in genere tutto veniva spazzolato con ottimo impegno, soprattutto se i giovani prevalevano sui cinquantenni.

Quando cucinavo io cercavo sempre di non usare carne o salumi. Un po’ per un discorso di contenimento dei costi (non c’è “prezzo” per quanto offerto ai pellegrini, si accettano donazioni in ragione di quanto ognuno si sente di dare, e i succitati giovani hanno sempre pochi soldi in tasca), e tanto per assecondare gli eventuali vegetariani, quasi sempre presenti in gruppi numerosi ed eterogenei. Ma anche quando cucinavano i miei compagni Hospitaleri, Spagnoli, per i quali un piatto senza carne non è degno di essere presentato in tavola, ce la cavavamo egregiamente.

O meglio erano i pellegrini stessi ad organizzarsi per assecondare le esigenze dei vegetariani. I vicini si facevano infatti subito un dovere di lasciare loro insalata e macedonia in abbondanza, se il piatto forte non era loro indicato.

A volte cercavamo noi di “adattare” i piatti alle loro esigenze (magari semplicemente levando i pezzi di carne dal loro piatto prima di servirglielo), ma con le “Patate alla Gallega” o le lenticchie, dove pancetta, prosciutto e salsiccia a pezzetti erano la parte preponderante del piatto, non era assolutamente possibile.

Cercavamo sempre di essere seduti a tavola con loro durante la cena, portavamo delle enormi zuppiere a gruppi di 8, 10 persone, e poi loro stessi si gestivano il cibo, non c’erano camerieri!

E mai, dico mai, vi sono state discussioni per prevaricazioni, sempre quanto c’era veniva condiviso più che fraternamente (coi miei fratelli ne ho avute di discussioni altro che storie). Ma non è tutto, un altro fatto è motivo di socializzazione della cena: la sua preparazione. A parte il piatto principale, che cucinavamo solo noi (attorno ai pentoloni una sola mano, se si vuole evitare complicazioni) tutto il resto lo si faceva con l’aiuto di “volontari”.

Come poi SEMPRE ERANO VOLONTARI A RIGOVERNARE. Bene, non sempre erano totalmente positivi questi “aiuti” nella preparazione, anzi. Spesso era difficile capirsi coi volontari, non sempre, ad esempio, “a pezzetti” ha lo stesso significato per tutti quando si tratta di tagliare pomodori, insalata, peperoni. Si andava dai dadini di mezzo centimetro ai pomodori tagliati in quattro! O le carote a tocchetti di 2 centimetri perché il volontario di turno non sapeva usare la grattugia per fare la julienne!


Per non dire della difficoltà di far togliere i semi ai pomodori (non a tutti graditi) a persone che non lo hanno mai fatto per 50 anni e non ne capiscono la ragione. O far capire a delle ragazzine che non hanno mai toccato un coltello da cucina in vita loro, magari Coreane, che non parlano né spagnolo, né italiano, né inglese, né francese, né tedesco (e scusate se non conosco altre lingue a parte il dialetto, ma questo serve proprio poco, neppure con gli italiani se non sono lombardi) che non è la stessa cosa mettere nella macedonia 5 banane, poi 5 mele, poi 5 pere, poi… invece che 1 banana, 1 mela, 1 pera, 1……, una banana, 1 mela,..
“Tanto poi si mischia”! Vero, peccato che quando si agisce con 10 kg di macedonia o 20 di insalata, va a finire che uno si ritrova nel piatto quasi solo carote, o pomodori, o lattuga, o per dire della macedonia, quasi solo banane o mele o…

Come mi disse un giorno un “aiuto cuoco professionista” come si qualificò, “se faccio da solo, faccio prima e meglio”. Verissimo, ma vuoi mettere la socializzazione del preparare le cose assieme?

Vuoi mettere il sapore di quello che hai preparato personalmente assieme ad altri?
E non lo sappiamo forse tutti che “Qualunque cosa è più buona se mangiata in compagnia”?

2 commenti:

  1. Leggendo ho avuto nostalgia del cammino. Questo di Compostela non l'ho mai fatto, ma è il mio desidero per la vita...

    E' straordinario vivere esperienze del genere, ci sarebbe un mondo migliore se tutto potessero progettare il suo cammino.

    Grazie per la bellissima lettura.

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  2. eh si è proprio così. A settembre sul cammino primitivo ( quello di lugo) abbiamo cucinato ( 10 pellegrini provenienti un pò da tutto il mondo ) in un rifugio autogestito. E' stato bello, anche se confesso che la pasta con il sugo al pomodoro e cipolla, a casa io non lo mangio, ma quella sera aveva un sapore speciale ed è un ricordo dolce che mi porto dentro.Graziella

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