Una barretta di cioccolato costa circa 500 franchi dell’Africa occidentale che corrispondono a meno di un euro, somma sufficiente per comprare un pollo o un sacco di riso, equivalente a più di tre giorni lavorativi di un ragazzo (ammesso che quest’ultimo venga pagato, e non sempre avviene). Giorni di duro lavoro consumati nel giro di pochi minuti dall’altra parte del mondo. Un abisso separa i bambini che mangiano cioccolato mentre vanno a scuola nel Nord America da quelli che a scuola non ci vanno affatto, e che sin dall’infanzia devono lavorare per poter sopravvivere. I bambini che si danno da fare per produrre le piccole delizie della vita non hanno mai provato, né mai proveranno, quel tipo di piacere. Ovviamente, la schiavitù non è una novità né in Africa né nella produzione del cacao, ma è passato molto tempo da quando la Costa d’Avorio ricorreva a tale pratica. Quasi metà di tutto il cacao mondiale – e gran parte del prodotto commerciale più a buon mercato – proviene dalle colline color verde giada di questo meraviglioso paese dell’Africa Occidentale. Il padre della Costa d’Avorio post-coloniale, Felix Houphouet-Boigny, era un dittatore bonario che diede un tale impulso al commercio del cacao da far parlare di miracolo economico africano, e fece in modo che il suo popolo fruisse della ricchezza. Ma “Le Vieux” – così era chiamato il presidente – finì per prosciugare l’erario dello stato mentre potenti multinazionali del cacao creavano un cartello per controllare i prezzi del prodotto in tutta l’Africa Occidentale. La Costa d’Avorio fece pian piano bancarotta; le grandi società fecero scendere i prezzi dei semi di cacao e gli agricoltori finirono negli ospizi per poveri. Dopo la morte del presidente, i suoi successori avidi e corrotti saccheggiarono l’industria del cacao. Salirono i prezzi di tutto salvo i semi di cacao, mentre il paese precipitava nella guerra civile. Gli agricoltori disperati, che prima assumevano uomini robusti per il lavoro, si rivolsero alla manodopera più a buon mercato che potevano trovare. Negli ultimi anni il lavoro infantile a contratto – altro nome della schiavitù – è diventato un affare. Ho percorso per settimane le stradine melmose e dissestate della Costa d’Avorio parlando con gli agricoltori. All’inizio è difficile vedere le piante di cacao che spuntano sopra la chioma dei banani e degli alberi della foresta pluviale, ma è impossibile dimenticare i suoi particolari baccelli dopo averli visti. Somigliano a grosse noci e spuntano direttamente dal fusto o dai rami della pianta. Sono così pesanti che è difficile capire come l’albero possa reggerli. Un lavoratore esperto può tagliare il baccello alla base con un machete affilato e aprirlo in due rivelando la polpa color marrone rossiccio e i semi viola chiaro. I bambini usati per questo lavoro vi mostreranno le numerose ferite causate dai colpi di machete andati a vuoto, ma anche l’agricoltore più anziano arrotolerà i pantaloni per mostrarvi le cicatrici.
La polpa appiccicosa e i semi sono prelevati e ammassati in grandi mucchi sopra stuoie intrecciate. È qui che avviene la magia, l’alchimia speciale che crea cioccolato-dipendenti in tutto il mondo. Scaldati dal sole equatoriale, i semi fermentano, rilasciando centinaia di sostanze chimiche e farmaceutiche che conferiscono al cacao le sue particolari facoltà di stimolare, sedurre e deliziare. Ma in mezzo alla foresta pluviale dove le narici si riempiono dell’odore aspro del frutto in decomposizione, assistendo alla fatica di bambini a piedi nudi e coperti di polvere, non potrei essere più lontano dal luogo di una festa.
La mia guida e io abbiamo incontrato soldati a ogni passo. Ci fermavano chiedendoci bustarelle e puzzavano di vino di palma. Gli agricoltori ne avevano paura ma i soldati permettevano che il commercio del cacao andasse avanti. Estorcevano grosse somme ai pisteurs che trasportavano i semi al mercato e anche loro sapevano che i proventi del settore pagavano le loro armi. Il governo della Costa d’Avorio dirotta i profitti del cacao nei propri forzieri o nelle tasche dei mercanti di armi che alimentano la guerra. Il cacao si è guadagnato il soprannome di cioccolato insanguinato, al pari dei diamanti. I lavoratori bambini che ho incontrato provenivano perlopiù dal Mali e dal Burkina Faso, paesi vicini in condizioni di povertà disperata in cui le famiglie non sono in grado di nutrire i figli. I trafficanti li raccolgono sul ciglio delle strade dove fanno l’autostop per qualunque posto in cui possono ottenere un pasto. A volte i bambini sono venduti ai mercanti direttamente dai genitori. La polizia di confine che cerca di bloccare i trafficanti mi ha detto che spesso prendono varie volte lo stesso bambino: non appena viene riportato a casa, il ragazzo scappa di nuovo. Da parte loro, gli agricoltori mi hanno detto che i bambini non sono schiavi: devono però ripagare la somma data ai trafficanti e poi le spese per il vitto e l’alloggio, quali che siano. I bambini non vedono mai alcun salario. Alcuni di quelli sfuggiti al sistema mi hanno detto che la notte erano chiusi a chiave e che il cibo bastava solo se mangiavano i semi di cacao crudi quando nessuno li guardava. Uno degli ultimi giorni del viaggio abbiamo visitato le fattorie di cacao site in alto sulle colline della Costa d’Avorio occidentale. Erano arroccate intorno a un villaggio chiamato Sinikosson. Mi sono seduta con gli abitanti del villaggio che raccoglievano i semi di cacao nella zona da 70 anni e ho chiesto loro dove finissero i semi. «In America e in Europa», mi hanno risposto.
«Che cosa facciamo con i semi?» gli ho chiesto. Non ne avevano idea. La loro vita trascorreva nell’attività di raccogliere il cacao e nessuno di loro aveva mai assaggiato il cioccolato. Non sapevano neppure che cosa fosse. Ho parlato del cioccolato ai bambini affamati con cui mi sono trovata quel giorno, ho parlato loro dei bambini del mio mondo che lo mangiano e sono rimasta turbata dall’abisso che separa i raccoglitori del cacao dai suoi consumatori: la mano che raccoglie il seme e la mano che scarta la tavoletta appartengono a due universi separati. Alla fine ho trovato un cioccolato “pulito” nelle fattorie del commercio equo disseminate qua e là. Ma il commercio equo è così limitato che non aiuta le migliaia di famiglie contadine e gli innumerevoli bambini che faticano nella miseria per fornirci il Theobroma, il cibo degli dèi. Purtroppo ho dovuto confermare ciò che gli operatori umanitari mi avevano raccontato sulla manodopera infantile in Africa Occidentale.
Il libro è dedicato ai bambini di Sinikosson.
Carol Off ha raccontato e vissuto in prima persona molti conflitti, dalla guerra nell'ex Jugoslavia sino alla "guerra al terrore" portata avanti dagli USA. Ha ottenuto numerosi riconoscimenti per i suoi documentari girati in Africa, Asia ed Europa e trasmessi dalla CBC. Vive a Toronto.
(foto: library.thinkquest.org e equonline.com)
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