Come sottolinea F. Braudel, prima del secolo XV o XVI in Europa non esiste un vero e proprio lusso della tavola e sotto questo aspetto l’Occidente fa segnare un notevole ritardo rispetto ad altre civiltà. Si consideri ancora che nell’Occidente medievale, vuoi per la tradizione millenaria della frugalità romana, vuoi per i modelli di sobrietà propagandati dalla Chiesa, non c’è spazio per le raffinatezze gastronomiche, e non ce ne può essere anche perché mancano le risorse in termini di conoscenze. Federico II, invece, possedeva un’imponente biblioteca, in parte ereditata dai re normanni, che annoverava libri provenienti da ogni parte del mondo: in quale altra fucina si sarebbero potuti redarre ricettari in volgare, tradurli in latino, con il sostegno di cuochi esperti e di medici ferrati nella dietetica araba? Federico era molto sobrio a tavola: una delle sue pietanze predilette era il cosiddetto biancomangiare, che, piuttosto che un particolare piatto, sembra designare una serie di piatti con alcuni ingredienti in comune, in particolare il latte e le mandorle. Il biancomangiare poteva essere di carne o di pesce, o anche, per i giorni di magro, di semplice semola cotta nel latte, con pepe e zafferano, la cosiddetta “simula appula”, la semola pugliese. La carne del biancomangiare era costituita da petti di pollo, sfilacciati finemente e cotti nel latte, in cui erano state stemperate farina di riso e mandorle tritate. In una variante anziché la farina era usato il riso in chicchi. Si tratta, comunque, di una rielaborazione alleggerita di un piatto arabo, che non manca, nella versione originale, nei ricettari menzionati (il brodo saraceno, il biancomangiare di Siria, il “blaundysorye”), e che doveva essere molto meno digeribile, contemplando petti e fegatini di capponi arrostiti, pestati nel mortaio con pane abbrustolito, e quindi bolliti con prugne, datteri, uva sultanina, mandorle e lardo. L’intervento di Federico in questi ricettari è ulteriormente sottolineato dalla compresenza, in linea col suo cosmopolitismo, di piatti che rinviano a diversi Paesi. A scorrere questi ricettari appare evidente che la più vistosa differenza con la nostra cucina sta nei condimenti, che fanno larghissimo uso di spezie. Un esempio: per la salsa verde vengono citati ingredienti in uso tuttora, come prezzemolo, aglio, mollica di pane, aceto (non si fa menzione né di olio, né di acciughe), ma vi si aggiungono cardamomo, garofano, menta, noce moscata, zenzero. Ancora, per friggere, ma anche per i soffritti dei brodi, sia di carne che di pesce, si usa soprattutto il lardo. Nella preparazione degli arrosti, nelle salse di accompagnamento e nelle farciture, rientrano tranquillamente non solo succo di limone o d’arancia, ma, in abbondanza, zucchero e miele, in un composto agrodolce decisamente incompatibile con la nostra tradizione mediterranea, molto meno forse con la cucina della Mitteleuropa. Tra gli animali commestibili non mancano proposte che oggi sembrerebbero strane, come i cigni, le gru e i pavoni; pur tuttavia le ricette riguardano in prevalenza animali domestici, tra i volatili il pollo, tra gli altri maiali e castrati. Ancora alla Mitteleuropa rimandano gli gnocchetti fritti, le crespelle e le frittelle, per accompagnare le pietanze al posto del pane. Decisamente più semplici i piatti di pesce.
(fonte: Accademia Italiana della Cucina)
domenica 11 ottobre 2009
IL BIANCOMANGIARE DI FEDERICO II, di Renzo Scarabello
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