sabato 24 ottobre 2009

PIENI DI SOLDI, POVERI DI ALIMENTI


Alcune specie alimentari sono minacciate d’estinzione. Per altre è già troppo tardi. Sono scomparse, o perchè il pianeta si è riscaldato, o perchè la foresta è stata trasformata in miniera, o semplicemente perchè la comunità che la coltivava l’ha abbandonata a favore del cibo industriale, simbolo di modernità. Facendo due conti, il pianeta ha perso il 75% della biodiversità alimentare in cento anni, secondo una stima della Fao proveniente da uno studio condotto dall’Università McGill. Esaminando 5 comunità indigene di altrettanti continenti, si è costatato che nei loro pasti la biodiversità è molto maggiore rispetto a ciò che si presenta sulle tavole di noi occidentali. La nostra alimentazione si basa infatti essenzialmente su quattro colture: mais, riso, soia e grano. Una comunità indigena thailandese di appena 600 anime cucina con 387 specie alimentari, di cui 62 frutti differenti. Questa ricchezza sta però scomparendo, soprattutto a causa della progressiva diminuzione degli habitat delle comunità a favore delle monocolture. E poi ci sono episodi paradossali come quegli indigeni thailandesi che si sono visti dichiarare i loro appezzamenti Parco Nazionale, quindi intoccabili e non più coltivabili.
Preoccupante è anche il legame tra perdita di biodiversità alimentare e malattia. Il cibo tradizionale, non trasformato, è più salutare, nutriente, quello industriale è responsabile di patologie come colesterolo e diabete.
Ma non tutto è perduto. Ad esempio gli Inuit dell’Isola di Baffin hanno deciso di reintegrare nella loro dieta ingredienti tradizionali, progressivamente abbandonati a favore dei surgelati. Oggi, più del 40% delle calorie quotidiane assunte proviene da cibi della loro tradizione, dieci anni fa era solo il 31%. E noi?
(fonte: Slowfood.it; immagine: regione.toscana.it)

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